Recruiting trends: cosa devono aspettarsi gli HR nel 2020

Recruiting trends: cosa devono aspettarsi gli HR nel 2020

Il 2020 non è solo un anno bisestile, ma anche l’anno che apre un nuovo decennio. Ecco perché molti dei trend che riguarderanno il mondo HR non saranno limitati solo a questi 12 mesi, ma saranno destinati a cambiare profondamente il modo di interpretare e vivere il recruitment.

Alcune tendenze sono per altro già in corso, altre non tarderanno ad arrivare e a investire pian piano tutte le Risorse Umane. Tra chatbot, HR Analytics, centralità della Candidate Experience, Intelligenza Artificiale, così come Employer Branding sempre più protagonista, vediamo in questo articolo cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi sia dal punto di vista del cambiamento culturale, che da quello più tech.

La cultura aziendale sempre più protagonista

Iniziamo con… la cultura aziendale. E’ uno dei trend del 2020 per quanto riguarda il recruitment cui è strettamente collegata. Le aziende – alcune, non tutte – dovranno invertire la rotta e non considerare più l’engagement dei dipendenti come un fattore secondario. Anzi, questo aspetto diventerà più determinante per rafforzare quel concetto di cultura aziendale che sarà uno strumento anche per la Talent Acquisition. In particolare, facciamo riferimento ai cosiddetti Millennials e a chi appartiene alla Generazione Z.

Se stipendio, benefit, promozioni restano ovviamente importanti, conta molto far capire a queste generazioni quali sono i valori in cui l’azienda crede, il modo in cui affronta le cose, qual è la sua employee value proposition, ossia la sua proposta di valore. A dirlo per altro è un sondaggio condotto da Glassdoor nel luglio 2019, dal quale è emerso che se chi è più adulto mette al primo posto la busta paga, per i più giovani la cultura aziendale invece è importante, anzi la metà degli intervistati la mette al di sopra di tanti altri aspetti.

trend HR 2020

Pertanto, questa diventa un fattore critico quando non si riesce a trasmetterla sia nella fase di selezione che nell’altrettanto delicata fase dell’onboarding così come successivamente per la talent retention.

Questo significa che il dipendente, che conosce dunque l’azienda, deve essere coinvolto e diventare una sorta di ambassador. Chi meglio delle persone che lavorano in un’azienda può trasmettere i suoi valori?

Dimenticate dunque buoni pasto e tavoli da ping pong: sempre stando a quello che dice Glassdoor, i tre principali fattori di soddisfazione dei dipendenti sono una mission chiara, una leadership senior di qualità e opportunità di carriera. E il coinvolgimento. Sapere coinvolgere chi lavora per un’azienda è cruciale per creare la cultura e diffonderla.

E se quanto abbiamo affermato vi lascia un po’ perplessi, possiamo dire che le aziende che hanno una cultura piuttosto “solida” tendono ad avere risultati finanziari maggiori e ad attrarre talenti, ma anche ad avere clienti più soddisfatti.

Employer branding sempre più centrale

Lo sappiamo: non è un vero e proprio recruiting trend del 2020, se ne parla già da tempo, ma questo non vuol dire che tutte le aziende abbiano finora dato all’Employer Branding l’importanza che merita.

Il fatto che un’azienda debba costruirsi una propria reputazione non solo come brand che produce determinati prodotti o servizi, ma come datore di lavoro non è sicuramente un concetto nuovo. Però è strettamente collegato a quanto abbiamo detto sopra.

Se vogliamo puntare sulla cultura di un’azienda, dobbiamo fare in modo di comunicarla al meglio. Usare per esempio in modo strategico, con un piano e un calendario editoriale, i social media. LinkedIn in primis, ma anche Facebook, Instagram e se il nostro pubblico è su TikTok, perché no, anche questo social. Purché sia fatto tutto in modo pensato, mirato e che porti dritti all’obiettivo. Social media recruiting sì, ma anche social media marketing finalizzato al recruiting.

L’Intelligenza Artificiale sempre più presente nel recruiting

Se ne parla da tempo, ma è nel 2020 che l’Intelligenza Artificiale diventerà sempre più concreta e presente nel mondo HR.  Questo è reso più evidente dalla nascita di soluzioni come Inda, la nostra tecnologia proprietaria di intelligenza artificiale che, lo ricordiamo, non sostituisce recruiter ed HR, ma li supporta nello svolgimento di task ripetitive dando modo di concentrarsi su aspetti del lavoro che richiedono maggiore esperienza e creatività.

L’ambiente di lavoro del futuro sarà dunque dinamico, veloce e digitale e grazie all’AI si accelererà il processo di recruitment.

In tanti, tantissimi modi: si potrà per esempio avere la possibilità di fare un video-colloquio in differita o di privilegiare video-colloqui con persone che hanno le skill più adatte per una determinata posizione diminuendo così il carico di lavoro dei recruiter, ma anche migliorandone l’efficienza. Si potrà sfruttare la ricerca vocale ed essere la risposta giusta per un candidato che, magari affidandosi ad Alexa, dica “Aiutami a trovare lavoro come ingegnere a Milano”. In tal caso, bisognerà lavorare con i contenuti per essere tra i primi risultati.

L’intelligenza artificiale permette per esempio di automatizzare la posta e di fornire risposte a chiunque si candidi – il che è positivo anche in ottica di Employer Branding – oltre a tracciare i candidati. Così come il chatbot permette di rispondere ai dubbi di un candidato e di rendere ancora più proficua e coinvolgente la sua Candidate Experience.

L’automazione sarà la risposta

Automatizzare i processi non può che giovare agli HR e questo sarà dunque possibile grazie all’AI ma anche a una tecnologia sempre più evoluta. Usare dei software ATS, come per esempio In-recruiting, permette di pianificare le interviste, aspetto che nel recruitment occupa sempre tanto spazio, così come di comunicare più rapidamente con i candidati e costruire con loro relazioni più personali.

“Ricordarsi” di un’esperienza che il candidato ha fatto grazie a un sistema che ne tiene traccia e permette di cercare le informazioni in modo facile, farà sì che al momento del colloquio, il candidato si possa sentire ancora più valorizzato e speciale.

Ed è fondamentale quando si cerca personale che appartiene alla Generazione Z che dà grandissima importanza alla relazione con il recruiter, anzi spesso è il fattore di maggiore impatto sul decidere se accettare o meno un lavoro.

I dati diventano cruciali: si parla di HR Analytics

Anche il mondo HR punterà moltissimo sui dati che devono non solo essere raccolti, ma anche analizzati e sfruttati per orientare al meglio le selezioni e per far sì che le Risorse Umane diventino sempre più una parte importante del business.

Grazie agli HR Analytics, tutta l’azienda potrà avere informazioni certe sulle risorse interne e sulle loro caratteristiche. E questo è d’aiuto, per esempio, nel momento in cui si apre una nuova posizione e anziché cercare all’esterno, si punta sul recruitment all’interno dell’azienda stessa.

Ma i dati diventano fondamentali anche per chi si occupa di strategia HR, così come per il marketing stesso. Lo ricordiamo, infatti: si parla sempre più di recruiting marketing.

Pertanto se il recruitment vuole usare gli strumenti del marketing per fare ricerca e selezione del personale, di più dati sarà in possesso, più sarà in grado di progettare una candidate journey che risponde alle differenti candidate personas.

Un recente sondaggio di Deloitte ha fatto emergere come per il 71% delle aziende sia prioritario analizzare i candidati, anche se solo il 9% intuisce come la gestione dei talenti, alla luce di numeri, possa migliorare le prestazioni dell’azienda.

Eppure gli HR Analytics possono dare un grosso contributo alla qualità della ricerca, alla riduzione dei costi e al Time-to-Hire. Aspetti tutt’altro che banali.

Sempre più mobile recruiting

mobile recruiting

Oggi moltissime persone possiedono uno smartphone, in Italia pare siano 7 su 10, secondo il Pew Research Center. E questa percentuale è destinata a crescere, rendendo il cellulare sempre più centrale in ogni fase della vita dell’individuo: fare la spesa, avere relazioni e… cercare lavoro. Ecco perché bisogna inserire nella propria strategia di recruitment anche l’esperienza mobile.

Uno studio del World Advertising Research Center, infatti, sottolinea che chi si candida tramite smartphone, incontra non poche difficoltà: non riesce spesso a caricare la pagina o peggio ancora il CV o si trova di fronte a siti che non sono ottimizzati per mobile.

I numeri ci dicono che solo il 22% delle persone riesce, in questi casi, a completare il processo di candidatura e che in media questo prende 10,5 minuti rispetto ai 5,9 per gli utenti desktop.

Ecco perché, specie se puntate alla Generazione Z ma non solo, bisogna migliore il processo di application anche da mobile, rendendo anche questa Candidate Experience importante e unica in modo da non perdersi per strada dei talenti.

Un aspetto tutt’altro che secondario se si vuole restare al passo con i tempi e essere protagonisti nel recruitment del futuro.

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