Recruitment: hai davvero bisogno di un esperto verticale o di un talento con competenze trasversali?

Recruitment: hai davvero bisogno di un esperto verticale o di un talento con competenze trasversali?

Come scegliere un nuovo collaboratore per la propria azienda? Sicuramente un passo fondamentale – ancora prima di creare la job description, pubblicare un annuncio e visionare i CV – è avere ben chiaro il perimetro del ruolo da ricoprire.
Spesso nel momento in cui si deve definire con precisione la figura ricercata sorge una domanda: cerchiamo uno specialista con esperienza nel settore, oppure un profilo trasversale?

L’intervento del nostro ospite di oggi (Chiara Bottini di Together) è una riflessione dell’eterno dilemma “generalista Vs. specialista” che affligge molti recruiter nella fase di Job Analysis.

Azienda ed esperti: un nuovo rapporto?

“So bene come vanno le cose: sono trent’anni che lavoro in questa azienda!” sbraitò l’uomo in cardigan blu, durante un corso di formazione.
Benché la principale tentazione in certi momenti sarebbe quella di rispondere a tono: “…e si vede…”, difficilmente se ne tirerebbe fuori qualcosa di buono.
Probabilmente ha più senso respirare e contestualizzare.
Aldilà dell’ennesimo riferimento alla resistenza al cambiamento, mi fa sempre riflettere il dibattito intorno al valore ipoteticamente oggettivo di un’esperienza esageratamente verticale all’interno di uno specifico contesto, altrimenti detto: “…sono trent’anni che…”
Se la società e le organizzazioni si sono fluidificate, il mercato del lavoro si è dolorosamente parcellizzato, la flessibilità e l’instabilità – anche emotiva, oltre che professionale – sono diventate la norma, qual è esattamente il vantaggio competitivo di un’esperienza stabile e specifica in un singolo habitat lavorativo? È spendibile come poteva esserlo dieci anni fa o la musica è cambiata?
L’attuale letteratura argomenta che le “nuove competenze” professionali richieste dalle organizzazioni sono più legate a elementi quali la resilienza, il problem solving, la visione d’insieme, il creare collegamenti tra mondi lontani e meno all’approfondimento di settore, ruolo o segmento di mercato, specialmente laddove questo si traduca in una forma di cecità lavorativa, poco adatta a gestire sfide sempre differenti.
Per diverso tempo abbiamo guardato con sospetto il CV di professionisti dalle epidermidi cangianti e li abbiamo liquidati pensando: “troppe esperienze diverse e disorganiche = nessuna esperienza”, ieri un amico selezionatore mi ha detto (testuali parole): “…non potevo inserirlo nella rosa di candidati: ha lavorato in un’azienda sola e qui ne serve uno che se ne sia passate almeno tre o quattro, affinché possa portare idee nuove carpite in giro”.
Mon Dieu.

Churchill diceva “non mi fido degli esperti perché conoscono una cosa sola”.

Forse è arrivato quel tempo in cui anche il vocabolo esperto definisce un concetto diverso da quello che ha sempre occupato nell’immaginario collettivo.
Chi è un esperto oggi? Qualcuno che abbia trascorso un certo tempo cronologico immerso dentro una singola realtà, spaccando il capello in quattro, o qualcuno che, al contrario, abbia navigato i mari dei progetti più disparati e delle aziende più distanti per, poi, sintetizzarne un ricco bagaglio di stimoli e spunti?
E ancora: un esperto ha necessariamente talento?
Mi capita di sentire spesso consigli simili: “nel vostro CV (o su LinkedIn) indicate il tipo di competenza che pensate di poter portare in azienda, specificate più possibile quello che avete realizzato e quello che intendete realizzare”.
Ottimo suggerimento, certo: concreto e anti-fuffa.
Ma la domanda è: e io che ne so cosa sarò in grado di fare dentro quell’organizzazione? Come faccio a sapere in che modo potrò investire la mia esperienza? Come faccio a pensare di riproporre un modello comportamentale e operativo che, magari, ha anche funzionato altrove, ma necessita di un sistema con determinati criteri?
Quanti esperti avete incontrato che, spostati di contesto, abbassavano improvvisamente le loro performance?
Ecco, magari prima di giocare a fare gli esperti o affidarci agli esperti, fidandoci esclusivamente del criterio “…sono trent’anni che…”, proviamo a definire un “ambito di esperienza” più articolato e meno banale dove la verticalizzazione può essere una virtù, ma anche un ostacolo e occorrerà arricchirla con altre tipologie di esperienze affinché possa risultare di qualche utilità per l’azienda.

#Buon recruiting!