Screening candidati troppo lento? Ecco quanto costa all’azienda (e come risolvere)
È uno dei momenti più importanti dell’attività di qualsiasi recruiter, ma, ammettiamolo, anche uno dei più “pesanti”. Parliamo di quando, pubblicato un job posting, arrivano tante candidature e tocca spulciarle tutte per capire se fanno o meno al caso nostro: quello che viene chiamato screening dei candidati. Ma cosa succede quando questo screening è troppo lento? Quando cioè un HR impiega settimane o addirittura mesi a visualizzare i vari CV? E come si può migliorare quest’attività di monitoraggio?
Lo vediamo in questo articolo iniziando con il capire meglio in cosa consista lo screening dei candidati, cosa può eventualmente rallentarlo e come un software ATS può velocizzarlo. Rendendo felici i recruiter ma anche i candidati.
Screening candidati: cos’è e perché è importante
Per screening dei candidati si intende il processo di revisione e analisi dei CV ricevuti a seguito della pubblicazione di un annuncio di lavoro. Oltre ai curriculum, all’HR spetta la lettura di eventuali lettere di accompagnamento, di verifica di risposte a eventuali questionari o magari di lavori già effettuati.
Pensa al caso in cui si sta cercando un copywriter o un grafico: se si è richiesto di inviare un elenco di articoli o un portfolio, anche questi materiali rientrano nello screening delle candidature.
L’attività di revisione prevede anche la verifica della corrispondenza tra quanto la posizione aperta richiede e le skill e le esperienze che i candidati dicono di avere. In questa prima fase, bisogna infatti essere certi che il candidato o la candidata siano idonei in modo tale da procedere con i contatti via e-mail o telefono, per fissare un colloquio.
Viene da sé che questa parte non è solo importante, ma fondamentale: se in qualche modo si arresta o non funziona come dovrebbe diventando lenta, faticosa e onerosa, bisogna cercare di capire come risolvere il problema. Anche perché, nonostante la tecnologia venga in aiuto agli HR, sembra che in media una sola assunzione o meglio decidere di assumere una persona richieda almeno 23 ore di screening.
Ovviamente, dipende poi dal team HR: se è composto da una persona sola, queste ore potrebbero aumentare, se invece è composto da 5-6, i tempi potrebbero un po’ diminuire, ma consideriamo che insieme alla verifica della corrispondenza tra skill/esperienze e posizione vacante, l’HR sempre più usa il social recruiting. Vale a dire cerca di capire qual è la personalità della persona candidata anche dai post che pubblica, dai commenti che fa sui vari social, dalle foto e così via. Attività che richiede diverso tempo e non deve essere affatto superficiale.
C’è da dire anche un’altra cosa: in media le persone valide restano sul mercato per un massimo di 10 giorni. Persone che stanno cercando lavoro per vari motivi – insoddisfazione, desiderio di fare una carriera di un certo tipo, esigenze economiche, familiari, ecc… – e non vogliono aspettare troppo tempo, ma soprattutto che possono essere contattate velocemente da altre aziende. Uno screening troppo lento può avere diverse conseguenze. Vediamo quali.
Le conseguenze di uno screening candidati troppo lento
Passare troppe ore a valutare se un candidato/a fa al caso nostro può avere delle ripercussioni anche all’interno dell’azienda. Vediamo quali sono.
Turnover e basso rendimento del team
Uno screening lento non influisce solo sui potenziali candidati che ti perdi, ma anche sul team che ha bisogno della nuova o delle nuove persone.
Cosa significa? Che un gruppo di persone sta lavorando oltre i limiti, sta sopperendo alla mancanza di qualcuno che è in maternità, in malattia o se n’è andato da poco, e sta lavorando sotto organico e molto di più di quanto dovrebbe e, alla lunga, riesce a fare.
Ognuno di noi può sopportare carichi di lavoro eccessivi per un tempo davvero limitato, se si protrae per settimane o per mesi, i membri di un team, per quanto bravi siano, rischiano di andare in burnout.
E questo, a cascata, porta a un calo della produttività e a un peggioramento della qualità del lavoro di cui si accorge anche il cliente. Inoltre, l’assenza o mancata disponibilità di persone specializzate potrebbe portarne altre a doversi cimentare con attività, programmi o tool che richiedono competenze diverse dalle loro. In questo senso, se un tecnico poteva impiegare 2 ore a fare un determinato lavoro, chi non lo è potrebbe metterci anche 2 giorni!
Cosa comporta tutto questo? Uno screening lento dei candidati può aumentare il turnover del personale. Una situazione simile, infatti, potrebbe indurre ad abbandonare il proprio lavoro e portare a situazioni di burnout.
Insoddisfazione dei candidati ed effetti negativi sulla candidate experience
Ma insoddisfatti possono essere ovviamente anche i candidati: i tempi di recruiting troppo lunghi, a partire dallo screening per arrivare a fissare il primo colloquio, possono influire anche sulla candidate experience.
Chi si sente trascurato, non considerato o persino “abbandonato” durante il processo di selezione, cosa fa? Tende indubbiamente a dirlo ovunque e questo porta a recensioni negative che intaccano la reputazione dell’azienda.
E spesso una candidate experience negativa condiziona anche il business aziendale. Pensa se tra i valori che condividi c’è l’attenzione alle persone, la trasparenza ecc. e se poi questo non si traduce nella pratica… Prima di candidarsi, le persone leggono le recensioni di altri e, se sono pessime, ciò può farle desistere dal rispondere all’annuncio. E vale lo stesso anche nel caso di candidati passivi.
Ovviamente tutto ciò avvantaggia i concorrenti: a parità di situazioni o offerte, la reputazione dell’azienda o l’attenzione dedicata ai candidati durante il processo di selezione possono fare la differenza!
Time to hire e metriche di recruiting alterate
Uno screening troppo lento influisce poi sulle metriche di recruiting, aspetto tutt’altro che trascurabile visto che per i recruiter il time to hire è uno degli indicatori di successo più importanti.
Quando un recruiter si impantana tra centinaia e centinaia di CV, questo porta a tempi di assunzione davvero lunghi, molto più di quanto si fosse prospettato. E ovviamente ciò incide anche sui costi.
C’è chi pensa che avere dei posti vacanti non comporti grandi spese, anzi faccia risparmiare denaro perché è una persona in meno cui pagare uno stipendio, i contributi, il welfare e così via. E invece no: se il profilo mancante è quello di un tecnico il costo annuale può essere fino a 2 volte del suo stipendio.
Ma questo vale per qualsiasi figura. Metti che manchi l’addetto stampa e non ci sia nessuno che lo sostituisca. Non poter comunicare cosa fa l’azienda significa non poter fare promozione, pubblicità e corporate branding. Ma se questa assenza poi si prolunga per mesi, il nuovo arrivato dovrà anche rinforzare tutti i contatti, impiegando del tempo prezioso.
Per non parlare poi del team HR impiegato in un’assunzione che tarda ad arrivare. Si tratta di persone che non potranno portare avanti altre attività come l’incontro periodico con i dipendenti, iniziative di team building e così via.
Ogni giorno che passa con un “posto vacante” ha un impatto considerevole sulla produttività, ma anche sull’innovazione e le entrate.
Impatto negativo sulla brand reputation
In parte lo abbiamo detto, ma ripetita iuvant: un processo di selezione troppo lento inficia la reputazione online e sui social faticosamente conquistata.
Basta veramente poco per rovinare la brand reputation di un’azienda e in un mondo iperconnesso, una recensione negativa può fare un giro che non ci aspettiamo e innescare una reazione a catena difficile da fermare.
Scarso successo del processo di selezione
Last but not least: se il processo di selezione ha scarso successo, viene da sé che non si può continuare in questo modo. Cosa significa? Che bisogna riprogettare e definire una strategia di recruiting più efficace e questo comporta sia un impiego di tempo non previsto sia di risorse. Inoltre, allontana sempre più il momento in cui si troverà il candidato/a ideale. Ecco perché è importante fare in modo che la strategia sia quella giusta fin da subito ed evitare lo screening dei candidati troppo lento.
Come migliorare e velocizzare lo screening con un ATS
Di grande aiuto può essere la tecnologia e in particolare un software ATS come Inrecruiting.
Un ATS ti permette di raccogliere tutte le candidature in un database centralizzato e di tenere traccia di tutte le informazioni importanti – cv, candidature, colloqui, feedback ecc. – e conservarle in unico luogo. Avrai una vera e propria panoramica del profilo del candidato: in un solo colpo d’occhio potrai vedere le informazioni importanti che ti potranno servire nell’eventuale colloquio.
Lo stesso candidato/a potrà accedere alla sua area riservata e aggiornare il suo CV con altri materiali (video CV, documenti, portfolio ecc…)
Usare un Applicant Tracking System ti permette quindi di raccogliere le candidature man mano che le ricevi e di comunicare con i candidati. Puoi inviare un messaggio a chi ti ha mandato il CV per far sapere che la candidatura è stata accolta, email individuali per somministrare un questionario di pre-screening o mandare una newsletter per indicare nuove offerte di lavoro in linea con un target di candidati. Disporre di questi strumenti per interagire con i candidati ti aiuterà ad accompagnarli durante tutte le fasi della selezione con comunicazioni personalizzate, senza mai farli sentire trascurati.
Un software ATS ti permette inoltre di creare una pipeline di candidati detta anche talent pool: ogni volta che dovrai iniziare un nuovo processo di selezione, potrai prima verificare chi si è candidato in passato, com’è andata la selezione ecc… e nel caso provare a ricontattarlo. Questo anche grazie al motore semantico di Inda che consente di usare sinonimi e keyword simili a quelle utilizzate per la ricerca per renderla più accurata.
Si tratta di sistemi utili per evitare uno screening delle candidature lento, inefficace e che può trasformarsi in un boomerang. Scoprili meglio in una demo dedicata di Inrecruiting.
Giornalista, content strategist e formatrice
Siciliana trapiantata a Milano, città che ama molto come la sua terra. Giornalista, SEO copywriter, formatrice e amante del live tweeting, scrive per varie testate e blog aziendali di lavoro, risorse umane e tanto altro.
Ha scritto nel 2020 il suo primo libro “Scrivere per informare” insieme a Riccardo Esposito, edito da Flacowski e nel 2021 altri due: “L’impresa come media” e “Content marketing per eventi“.
Ama il mare, la bici, la pizza, i libri, le chiacchiere all’aperto.