Personal Branding per recruiter: perché è importante

Personal Branding per recruiter: perché è importante

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Vediamo insieme i motivi per un selezionatore non dovrebbe trascurare il personal branding e come farlo al meglio, evitando gli errori.

Cos’è il personal branding: una definizione

Cosa si intende per personal branding? Dare una definizione di personal branding (brand personale) non è semplice.
Con personal branding al giorno d’oggi si intendono tutte quelle strategie e tattiche che una persona mette in atto per promuovere se stessa come professionista, quello che sa fare (competenze), ciò che ha imparato e sta imparando, allo stesso modo di come farebbe e fa un’azienda.

Se in questo secondo caso si parla, però, di corporate branding, e si intende la promozione di un brand e della sua identità, concetto legato anche a quello di employer branding (attrattività dell’azienda come luogo di lavoro), nel caso di una persona, la promozione del suo “marchio” (brand) ha più a che vedere con il marketing di se stesso e presuppone un livello e un grado di consapevolezza che non è detto sia insito in tutti i professionisti, soprattutto nel caso dei recruiter che spesso hanno un background umanistico e non di studi legati al marketing.

Esistono diverse definizioni di personal branding e ognuna sottolinea un aspetto specifico.

Il personal brand, per mutuare le parole di Luigi Centenaro, tra i primi ad averne parlato in Italia:

“è la ragione per cui un cliente, un datore di lavoro o un partner ti sceglie”.

Ragione che coincide pertanto con il trovare “la propria voce”, la propria unicità, i propri punti di forza, per costruire una relazione duratura con le persone con cui si lavora, quotidianamente o occasionalmente. E questo a prescindere dal fatto che si sia o meno alla ricerca di una nuova opportunità lavorativa. Anche perchè uno dei benefici della costruzione di un brand personale è quella di attrarre clienti (e nel caso di un recruiter i principali clienti sono i candidati).

Altre definizioni mettono invece il focus sull’aspetto reputazionale, come quella di Dorie Clark.

Definizione Personal Branding

Il tuo personal brand è quello che dicono le altre persone quando lasci la stanza.

Perché il personal branding per recruiter: perché è importante e come curarlo

Ecco perché, a differenza di quello che comunemente si crede, anche un recruiter che, per l’appunto, si occupa di ricerca e selezione del personale, deve curare il suo personal branding (oltre che l’employer branding dell’azienda).

Per creare una relazione con i candidati

Definirsi, infatti, come persona vuol dire definirsi anche come professionista. Significa stabilire, e in un certo senso mostrare, i valori in cui si crede, le proprie capacità e quello che ci differenzia da altre persone che fanno lo stesso mestiere.

“Mettere in chiaro” alcuni aspetti di se stessi – al pari di come è richiesto ai candidati – vuol dire porre le basi di questo rapporto e trovare un terreno d’incontro “comune”.

Significa andare oltre la creazione del proprio profilo LinkedIn, per distinguersi dagli altri e di conseguenza far distinguere la stessa azienda o Agenzia per il Lavoro/società di Ricerca & Selezione per cui si lavora. E, in questo secondo caso, curare al meglio il proprio personal branding vuol dire attrarre e acquisire clienti, ossia aziende e candidati, che devono trovare in ciò che il recruiter scrive e comunica di sé, la ragione per cui affidargli un intero processo di selezione e, a latere, anche la gestione di parte del proprio employer branding.

Per consolidare la propria esperienza

Se sei un recruiter o un headhunter che si occupa di profili altamente specializzati o di recruitment per manager, o magari partecipi a incontri o seminari in cui racconti come si sta evolvendo il settore, in tutti questi casi, il personal branding serve a rafforzare e comunicare a tutti cosa fai già. Questo vale sia se lavori come recruiter dentro un’azienda, sia se sei un headhunter che lavora come libero professionista o per un’agenzia.

Se non hai mai partecipato a eventi di settore in cui raccontare la tua esperienza, settore e skill dovresti iniziare subito. Per un recruiter è fondamentale e può rappresentare un fortissimo elemento differenziante rispetto a tutti gli altri selezionatori.

Per attrarre candidati (candidate attraction)

Vale, inoltre, per attrarre candidati. In un mondo in cui un candidato ha più opzioni di carriera ed è in grado di seguire, in maniera autonoma, le varie fasi di un processo di selezione, sapere che è stato affidato a un recruiter che “conosce” e di cui “si fida” è per lui una garanzia e un motivo in più per candidarsi/partecipare a quella ricerca di personale.

Il personal branding del recruiter può influire sulla candidate attraction e sulla candidate experience, anche alla luce del fatto che, come viene messo in evidenza dalla Social Recruiting Surveydi Kelly Service, il 60% dei candidati ha un’esperienza negativa, di cui, volenti o nolenti, sono spesso responsabili i recruiter. In più, il 72% di chi l’ha vissuta non la tiene mica per sé, ma la condivide online o dal vivo. Il 65%, inoltre, asserisce di non avere mai ricevuto un feedback in merito all’andamento della selezione.

Va da sé che la nomea di una candidate experience positiva può essere un modo per attrarre talenti e portarli a candidarsi.

Bisogna poi considerare un fatto: quando un candidato è “ufficialmente sul mercato” vuol dire che sarà in contatto con numerosi altri recruiter e che probabilmente sarà già inserito in numerosi processi di selezione. In questa situazione (come mostra il grafico sotto), la possibilità di reclutarlo con successo si abbassano esponenzialmente. Viceversa un personal branding forte permette di entrare in contatto e reclutare i candidati più interessanti, ancora prima dei recruiter competitors.

Candidati passivi

Last but not least, secondo la ricerca “Work Trends Study” di Adecco Italia, il 42,8% dei candidati utilizza il social recruiting proprio per “cercare recruiter”.

Guadagnare attenzione e ottenere connessioni

Curare il personal branding vuol dire poi avere maggiori chance che quello che si pubblica (annunci di lavoro ma anche contenuti di valore) venga visto da più persone. Parliamo non solo di job posting che, grazie al personal branding del recruiter e alla sua ottima presenza online, possono “arrivare” anche ai cosiddetti candidati passivi, ma anche di qualsiasi tipo di contenuto che viene postato e condiviso. Come articoli sul processo di selezione, sugli obiettivi che si prefigge l’azienda per cui il recruiter lavora o sul settore di cui si occupa. In questo modo, il recruiter coinvolge non solo candidati, ma anche colleghi, dipendenti stessi (che in ottica di employer advocacy possono a loro volta diffondere quei contenuti) manager di altre aziende ecc…

In questo senso possiamo dire che il branding personale è strettamente collegato ad un processo di Content marketing e Inbound recruitment.

Le persone si connettono con le persone, non con le aziende, questo è un dato di fatto. Così come lo è il fatto che curare il tuo personal branding aiuta anche quello dell’azienda (le relazioni passano quindi da B2B/B2B a H2H: ossia Human to Human).

Strumenti per fare personal branding

Il Personal Branding Canvas

Come fare personal branding? Quali azioni compiere e quali errori evitare?
Prima di andare nel dettaglio, ti consigliamo uno strumento di design thinking inventato proprio da Luigi Centenaro, il Personal Branding Canvas che permette di strutturare e correggere la propria strategia complessiva.

personal branding per recruiter

Un tool in blocchi che, oltre a far visualizzare chi si è e quali competenze si hanno, gli obiettivi che ci si pone e tanto altro, ha un’intera casella dedicata agli investimenti (senza i quali qualsiasi sforzo sarebbe vano) e ai risultati concreti che, così facendo, si pensa di raggiungere.

Buffer – Social Media Management Platform

Buffer è uno strumento di schedulazione e gestione dei propri post sui social media. E’ utilissimo per un recruiter interessato a fare personal branding perchè permette di caricare e calendarizzare i propri post sui social network. E’ possibile automatizzare parte della propria attività, con un notevole risparmio di tempo. Buffer presenta un piano gratuito accessibile con alcune limitazioni.

Snip.ly – Pop up in contenuti esterni

Snip.ly permette di inserire dei piccoli pop up all’interno degli articoli che condividiamo. L’utilità per un recruiter a caccia di candidati passivi è enorme! E’ possibile – ad esempio – condividere un articolo interessante relativo alla figura di data scientist e inserire un pop up con la nostra foto e un link alla posizione aperta presso la nostra azienda, andando ad intercettare candidati che altrimenti non sarebbero andati a cercare e non si sarebbero candidati al nostro annuncio di lavoro.

Anche Snip.ly mette a disposizione un piano gratuito accessibile con alcune limitazioni.

Integrando Buffer con Snip.ly è possibile strutturare una macchina in grado di intercettare in automatico candidati passivi, mentre noi siamo occupati in altre attività.

Il tuo Applicant Tracking System

Fare personal branding è fondamentale, ma per comprendere se i nostri sforzi stanno producendo risultati è molto importante essere organizzati. Centralizzare le proprie attività di recruiting con un ATS come Inrecruiting è importantissimo: permette di avere tutti i propri candidati in un solo luogo e di accentrare anche le statistiche ed i report. Analizzando questi saremo in grado di capire se i nostri sforzi stanno producendo risultati (candidati, visite alle nostre career page, interazioni) o se dobbiamo correggere la rotta e modificare la nostra strategia (e qui il personal branding canvas può venire in nostro aiuto per una ri-definizione e testing della nostra strategia).

P.S.: Lo sapevi che da Inrecruiting è anche possibile condividere i propri annunci di lavoro sui diversi social media? Scopri le altre funzionalità del nostro Applicant Tracking System.

Personal Branding per recruiter: 9 step per farlo al meglio

Detto questo da dove iniziare? Vediamolo in 9 step.

1. Curare la propria presenza sui social media.

Inutile essere iscritti a tanti social media se poi non li si usa. E, ancor peggio, avere magari un nickname su Instagram e poi un altro nome su Twitter. Se si vuole usare i social media per costruire il proprio personal branding, bisogna essere coerenti e presenti, soprattutto con il proprio nome e cognome e decidere di usarli dunque in ottica professionale. Una scelta quasi “obbligata” perché una volta che, durante il candidate journey, il candidato viene a contatto con il nome del recruiter, come abbiamo visto sopra, tende a scoprire chi è, come lavora e in un certo senso sa anche cosa aspettarsi.

Per decidere la piattaforma social media da utilizzare è importante porsi la domanda: “quali sono i social media frequentati dai miei candidati target?”.

In supporto viene la ricerca «Italiani e Social Media», Blogmeter (2021) che indaga proprio questa questione. La ricerca divide tra social utilizzati diverse volte a settimana: questi sono i social di cittadinanza; e quelli usati solo alcune volte alla settimana, i social funzionali: questo soddisfano un bisogno specifico. Qui trovi la sintesi dello studio di Blogmeter.

italiani e social

Il social principale per cercare candidati è sicuramente LinkedIn (che nella ricerca Blogmeter mostra una costante crescita di utilizzo, anche tutti i giorni). Il primo passo per usarlo al meglio è completare il proprio profilo, inserendo tutte le informazioni di base, gli studi, l’esperienza, una foto professionale, ma non solo.

Importante: evitare di parlare di sé in terza persona. Vuol dire creare distacco nonché generare “sospetti” in chi lo legge. Questa modalità funzionava in passato. I codici comunicativi sono cambiati ed è importante sintonizzarsi e gestire questi cambiamenti.

Fondamentale è curare il summary e la headline (il proprio “titolo” su LinkedIn). Come? Raccontando le tue passioni e dicendo ai candidati, per esempio, cosa puoi fare per loro e per far crescere la loro carriera. Aspetto tutt’altro che banale: in questo modo si dà al candidato una motivazione chiara per instaurare una relazione e si comincia a costruire un rapporto di fiducia.

Ecco alcuni esempi di headline utilizzati con efficacia da alcuni recruiter.

Headline recruiter su LinkedIn

2. Usare LinkedIn per creare un network forte di candidati

LinkedIn, per come è strutturato, può aiutare nella costruzione di un network forte di candidati. Basta infatti connettersi con qualcuno che si conosce per avere l’accesso a chi fa parte della sua rete, con cui per l’appunto si è collegati in secondo grado o in terzo grado.

Il primo passo da compiere è dunque connettersi con colleghi ed ex colleghi, amici, ex compagni di scuola ecc… e magari con chi si è conosciuto a un evento o durante un meeting, ampliando così la tua rete grazie alle loro conoscenze. E, ovviamente, connettersi anche con i candidati che ti interessano. Sei un recruiter IT? Cerca connessioni in quel campo, in modo da ampliare la tua rete.

Quello che conta è personalizzare sempre il messaggio con cui si chiede la connessione: non solo un gesto di buona educazione, ma un modo per creare un primo rapporto.

3. Partecipare e interagire il più possibile

Capita spesso: si è su LinkedIn per fare social recruiting e si finisce con il non interagire e avere un ruolo, rispetto agli altri, quasi “passivo”. E invece per costruire il proprio personal branding è importante partecipare. Come? Ponendo domande, rispondendo ai dubbi degli altri e farlo “con generosità”. Non limitarsi pertanto a mettere like su un post o su un articolo, ma condividerlo, commentando e argomento il proprio punto di vista, creando cioè valore per chi legge, ma di conseguenza anche per se stessi.

Una risposta articolata, magari relativa a un campo che il recruiter conosce bene, creerà interazione e interesse e, perché no, anche nuove connessioni. Questo, ovviamente, vale anche per i gruppi su LinkedIn o ancora meglio su Facebook (che contano un numero di utenti attivi ed un tempo di permanenza decisamente superiore).

Inoltre, sfrutta il social network per parlare in modo dettagliato di come svolgi il processo di selezione, magari dicendo che dai sempre un feedback ai candidati o raccontando alcuni aspetti del settore in cui svolgi la selezione.

4. Postare contenuti sui social media e su LinkedIn in particolare

Le persone amano “consumare” i contenuti, in particolare quelli che credono li possano aiutare nel loro lavoro o nella formazione.

Dalla ricerca Blogmeter emerge una polarizzazione: il 42% degli intervistati dichiara di limitarsi a leggere contenuti altrui, il 13% dichiara di scrivere prevalentemente propri post originali, senza particolare attenzione ai post delle altre persone. Il restante 45% legge, scrive o commenta.

Pertanto, oltre a condividere quelli altrui, posta tu stesso su LinkedIn, Facebook, Twitter o qualsiasi altro social (content marketing).

Nel caso di LinkedIn puoi farlo sia scrivendo post su argomenti in cui sei ferrato – recruitment, consigli sulla carriera, su determinati settori ecc. – o scrivendo un articolo su LinkedIn publishing o pubblicando una newsletter su LinkedIn. A differenza del post, questo è un vero e proprio pezzo con tanto di titolo e immagine da scegliere, in cui si possono inserire grafici, video e tanto altro ancora e soprattutto è un contenuto che viene indicizzato da Google. Il che ti aiuta in duplice maniera: chi ti googlerà potrà arrivare al tuo articolo e leggere cosa scrivi e viceversa chi starà cercando quel determinato argomento potrà arrivare al tuo articolo su LinkedIn.

Quali altre tipologie di contenuti pubblicare? E’ utile fare riferimento ad uno strumento di classificazione dei contenuti  – La Matrice del Content Marketing –  a seconda dell’obiettivo (conoscenza o acquisto) e a seconda della maggiore emozionalità o razionalità del contenuto.

Matrice content marketing

5. Aprire un blog o un sito personale

Sulla stessa scia è anche il blog. Questo può essere un ottimo investimento per il tuo personal branding perché puoi personalizzarlo come meglio ritieni e prevedere rubriche e tanto altro ancora.

Certo, richiede uno sforzo maggiore e l’avere un minimo di dimestichezza con i CMS (come WordPress) nonché qualche conoscenza di grafica, ma il gioco vale la candela e poi, anche il blog aiuta a fare personal branding tramite i motori di ricerca (SEO). Senza contare che negli ultimi anni si sono sviluppati diversi software (chiamati page builder) per costruire in modo semplice il proprio sito su Wordpress (noi ti consigliamo Elementor o Thrive Architect).

6. Personalizzare la comunicazione e interagire con i candidati

Anche comunicare con gli altri vuol dire fare personal branding ecco perché è importante rispondere e personalizzare i propri messaggi. Questo vale per le e-mail, nel momento in cui si fa selezione (e in questo, per esempio, aiuta un software ATS come Inrecruiting in cui è possibile impostare template personalizzati per i feedback ai candidati inseriti nel processo di selezione) ma vale anche sui social media e in particolare su LinkedIn. Dove i messaggi Inmail personalizzati hanno il 37% di risposte in più e aumentano le probabilità di assunzioni.

Per questo è importante concentrarsi su quello che si sta scrivendo, a partire dall’oggetto, e soprattutto sulla persona che lo leggerà.

Inoltre, un recruiter può utilizzare Inmail per complimentarsi con un candidato su quello che ha scritto, su un risultato raggiunto, per condividere una passione in comune ecc… Tutti modi per dare attenzione e costruire le basi di un rapporto.

7. Mostrare i successi ottenuti

Sì, il vecchio detto “Chi si loda si imbroda” vale ancora, ma se un recruiter usa i social per far capire come è andata una selezione, i risultati che ha raggiunto, non sta facendo altro che “costruire la propria credibilità”.

A questo possono servire un post su LinkedIn o su altro social network. Così come è una buona prassi chiedere a capi, ex colleghi e colleghi, di scrivere una recommendation su LinkedIn. Cosa che ha ancora più valore se chi la scrive, magari è una persona che tu stesso hai selezionato, ossia un ex candidato.
Questi principi sono legati a leve persuasive fondamentali e legate alla natura umana, come il principio di autorità studiato dallo psicologo Robert Cialdini. Abbiamo approfondito il tema della persuasione nel settore del recruitment in questa intervista.

8. Usare la career page per costruire relazioni

Fin qui abbiamo parlato del profilo personale, ma anche la career page aziendale può essere centrale sia per la costruzione del personal branding che per l’attività di recruiting su LinkedIn. Usala per raggiungere il target a cui ti rivolgi, per comunicare nuove opportunità, le caratteristiche dell’azienda per cui lavori o per far conoscere il tuo team.

Puoi chiedere al social media manager che gestisce la pagina di creare delle rubriche fisse dedicate per esempio alle ricerche in corso o a processi di selezione che si sono conclusi bene. In queste, in quanto persona coinvolta attivamente nel processo, potrai essere tu stesso a parlare magari tramite un video o una piccola intervista in cui racconti come si è svolta la selezione. Tutti contenuti che, va da sé, potrai condividere anche sui tuoi canali social.

P.S.: sapevi che tra le funzionalità di Inrecruiting è disponibile anche un Career page creator con il quale puoi costruire in pochi minuti la tua pagina carriere, anche senza sapere nulla di programmazione e web design (il sistema è un drag and drop)?

9. Trovare clienti (aziende)

Tutto quello che abbiamo detto sopra, serve sì a un recruiter interno all’azienda (in house), ma anche e soprattutto a chi, lavorando per una società di Ricerca & Selezione o Agenzie del Lavoro, ha bisogno di intercettare nuovi clienti, ossia aziende che gli affidino delle selezioni di personale.

Un modo per vedere come sta funzionando il proprio profilo LinkedIn è ovviamente vedere chi l’ha visitato e, se si tratta di potenziali lead che dunque hanno mostrato interesse verso quello che fai, contattarli successivamente, anche se non hanno chiesto la connessione. Il tutto scrivendo un messaggio personalizzato che non sembri invasivo.

Puoi aggiornare la lista delle persone con cui ti piacerebbe lavorare andando sui profili delle persone con cui sei in contatto e individuando i cosiddetti “profili simili”. E ancora: andare sulla pagina dell’azienda che ti interessa, commentare determinati articoli e post dimostrando non solo conoscenza dell’azienda, ma anche del settore in cui operano.

Un’impresa di solito preferisce partner che sanno davvero cosa fa e che possono allo stesso tempo dimostrare – con un commento, la condivisione di una ricerca ecc… – di poter apportare un loro personale contributo.

Personal branding: gli Errori da non commettere assolutamente

personal branding per recruiter

E quali errori un recruiter non dovrebbe commettere nella gestione del suo personal branding?

  • Non essere costante: è inutile iniziare a postare 4 volte al giorno, commentare, condividere per poi “sgonfiarsi” un mese dopo. Meglio scegliere quei pochi social che si sa di seguire che iniziare un’attività per abbandonarla poco dopo, non è di certo un buon biglietto da visita.
  • Aprire un blog e non aggiornarlo: non c’è cosa peggiore di un utente che ti trova su Google e quando approda sul tuo blog scopre che l’ultimo articolo risale a 3 anni prima. Il blog va curato, con almeno un articolo al mese. Viceversa, meglio non aprirlo.
  • Non rispondere ai messaggi che si riceve su LinkedIn e altri social. Una risposta va data sempre, e magari nel giro di un paio di giorni. Se non riesci, forse è meglio andare sulle impostazioni di LinkedIn e selezionare la tipologia di messaggi che vuoi ricevere, in modo da poterli gestirli tutti.
  • Postare contenuti senza averli riletti, che sono stati scritti di fretta e sono pieni di refusi: questo dimostra sciatteria, poca attenzione per le persone e di conseguenza non attrae né candidati né aziende.
    Non essere sinceri: nel mondo odierno qualsiasi bugia viene scoperta. E i cosiddetti epic fail sono sotto gli occhi di tutti. Ne va della reputazione del recruiter ma anche dell’azienda.

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