Social recruiting: Intervista ad Alessandro Durello (SocialRecruiter.it)

Social recruiting: Intervista ad Alessandro Durello (SocialRecruiter.it)

Come cambierà il lavoro dei recruiter? Ce l’ha raccontato il nostro #RecruitingGuru Alessandro Durello, in un’intervista-fiume nella quale le nostre parole chiave sono state #socialrecruiting #employerbranding e #recruitingmarketing. Se sei un recruiter ti consigliamo di leggere fino alla fine: è piena zeppa di suggerimenti e consigli utili per migliorare il tuo lavoro.

Presentati ai lettori del blog di In-recruiting (Recruiting Italia). Chi sei e di cosa ti occupi?

Buongiorno a tutti i lettori del blog di In-Recruiting, se dovessi presentarmi direi che sono un interprete innamorato di LinkedIn; cerco di tradurre quotidianamente la lingua delle potenzialità e delle skills personali, in mansioni operative calzanti per le aziende. Lo faccio attraverso le nuove tecnologie di social recruiting, per ridurre i costi e i tempi del recruiting, con l’obiettivo di mantenere intatta, o alzare la qualità del fitting tra passioni/aspirazioni del candidato e posizioni aperte.
Sono Durello Alessandro, Durante la settimana mi pagano per fare quello che mi piace: il Responsabile HR (Head of Social Recruiting & Social Selling) per Alfio Bardolla Training Group S.P.A, azienda leader nella formazione finanziaria personale in Europa. Formiamo i nostri clienti (ormai oltre 20.000) alla gestione proficua e consapevole del proprio denaro, aumentando la competenza personale sulle modalità di creazione di entrate automatiche; la mission dell’azienda è dare la possibilità ai clienti di inseguire i propri sogni in qualsiasi istante, io cerco quotidianamente di tradurre il medesimo concetto, dando la possibilità alle nuove risorse di inseguire il lavoro dei loro sogni con noi.
Nel tempo libero sono Founder di SocialRecruiter.it, piccola società di consulenza verticalizzata in Social&Digital HR, per singoli professionisti e per le loro aziende. Mi occupo di formazione, agganciando veri e propri progetti strategici in RPO (recruitment process outsourcing) per la talent acquisition, attraverso i social network.
Nei fine settimana faccio il formatore, all’interno dei percorsi aziendali, parlando di tecniche e strategie per il Social Recruiting e il Social Selling attraverso LinkedIn. Quando ho tempo vado in bicicletta.

Quali sono le sfide più difficili che affronti ogni giorno nel tuo lavoro?

Le sfide sono innumerevoli, e partirei da quelle più banali, la prima è certamente una sfida dovuta al mio posizionamento sul mercato: rimanere aggiornati sulle principali novità del Social recruiting, nel mondo dei social e nel mondo dei tool è un lavoro a tempo pieno. La parte più difficile, per chi come me, ha dalla propria un’innata curiosità empirica, è la capacità di reinterpretare in modo innovativo l’utilizzo degli strumenti in chiave operativa, migliorando l’automatizzazione garantita dalle tecnologie, nelle fasi del lavoro a basso valore aggiunto.
Un’altra sfida molto impegnativa in azienda è la possibilità di trovare risorse adatte alle vere esigenze dei clienti; in primis perché molti dei clienti, (inutile negarlo) cercano semidei a pochi spicci, senza avere chiare le tempistiche del reclutamento, senza pianificare l’on-boarding e le naturali tempistiche di adattamento, ma soprattutto senza calcolare i costi di un reclutamento sbagliato.
Prima di pianificare le skills corrette, da inserire in una job description, infatti, sarebbe utile parlare di predictive HR analysis, oppure di predictive HR plan in azienda, settore da cui volevo partire più un anno fa per fare consulenza in ambito HR. La sensibilità delle aziende sull’argomento in Italia è quasi pari allo zero e il “time to market” nel mondo dei servizi di consulenza è tutto.

recruiting marketing
Dall’altro lato, facendo parte di coloro che cercano di dare lavoro, mi sento di dire che l’approccio all’appuntamento per il colloquio non è sempre dei più seri, come poco seria sta diventando l’application alle job. Ricordo bene i concetti di presenza, puntualità, serietà e preparazione, necessari per affrontare al meglio un colloquio dignitoso, perché li ho vissuti non troppo tempo fa in prima persona e da “utente”, mi sono sempre messo in testa di cambiare l’approccio al reclutamento “classico”.
Accade, quindi, di essere scambiati per un’agenzia di viaggi e fare booking; problema che un HR deve risolvere, perché esiste il mondo dei candidati inoccupati – pieni di impegni; a quel punto trovi Calendly, una delle tante app (che consiglio ai colleghi che non sfruttano ATS, o non possono investire su questi strumenti), per lasciare al candidato la possibilità di gestirsi l’appuntamento, sincronizzandolo con il calendario personale, mandando continui remind alla futura risorsa, per non perdersi l’impegno. Ma tutto ciò non è sufficiente ad avere tasso zero sulla percentuale di abbandono (vi rassicuro in anticipo). Chi come me ha il focus su, time to screen, time to recruiting e time to hire costante, e preferisce meno candidati a colloquio, ma perfetti, questa gente la prenderebbe a pesci in faccia.
Poi ci sono gli applicatori seriali, spesso affetti da click ossessivo compulsivo, che fanno ricredere nei valori fondanti, che per me sono semplicemente tre:
– L’ideale dell’Application in tre “tap” (tre tocchi di tastiera, mouse e/o cellulare). E’ importante che si richieda ai candidati di compilare solamente i campi necessari per la selezione, e non un numero eccessivo: del resto è provato che all’aumentare dei campi diminuisce il tasso di conversione (il numero di candidati che compila l’intera application).
– Candidato al centro; la mia prima domanda al colloquio è sempre: “gradisce un bicchiere d’acqua, o un caffè?” perché seleziono solo chi mi piace davvero e chi mi sono potuto studiare a fondo.
– Rispetto, non solo nelle tempistiche di risposta alle candidature, ma anche nell’iter di selezione (che deve permettere il giusto approfondimento, non il secondo step del colloquio dopo un mese).
tutto questo in toto o in parte può venir meno, grazie all’applicatore seriale, che si candida ad ogni job, certamente spinto da bisogno e da ferrea volontà, ma che umilia la propria dignità e le proprie competenze, oppure espone il suo ego (“so fare tutto”) ad un confronto poco profittevole con chi si occupa di HR. Questa pratica penalizza, come ben sappiamo, non solo il lavoro del recruiter in termini di tempo, ma anche il rispetto nei confronti di chi si è candidato, che alle volte può non ricevere il corretto feedback (provo a personalizzare sempre il motivo delle mie scelte, non sempre riesco, lo confesso), o non leggere nulla (quasi impossibile nel mio caso, ma faccio screening completo di google cv, per una media di 6 candidati l’ora, spesso una check list e un rank da 10/15 variabili per candidato, quindi è capitato di non rispondere l’inutile: “grazie per essersi candidato, le faremo sapere”, cosa per me assolutamente inopportuna, equivalente ad una mancata risposta.
Tutti gli altri candidati, che sono la stragrande maggioranza, nella mia esperienza, li ho adorati, magari non in linea per la mia vacancy, ma ho sempre un enorme piacere nel trovare persone capaci, grintose, con le giuste pretese e la giusta determinazione e chi, come me, fa il lavoro con passione cosa dovrebbe fare? Girare il profilo ai colleghi che stanno cercando proprio lui, dando prova di gentilezza e collaborazione, ma soprattutto facilitando le persone talentuose.

In che modo l’Employer Branding della tua azienda (Alfio Bardolla Training Group) influisce sul tuo modo di fare recruiting? In che modo la tua azienda promuove il proprio Employer Branding?

Employer Branding è on-line e off-line (distinzione che non dovrebbe più esistere, ma è utile al ragionamento); chi lo utilizza a pieno sa che le politiche per migliorare la visibilità e per omogeneizzarla a standard di brand, guidati da policy aziendale, capace di curare anche la presenza sui social delle stesse risorse, sono processi lunghi se fatti a dovere.

Nel primo semestre della mia collaborazione in A.B.T.G. S.p.a abbiamo migliorato del 167,4% l’interazione con la Company Page da parte degli utenti LinkedIn, grazie al miglioramento del posizionamento e della visibilità dell’area Sales. Il lato più interessante è che attraverso un lavoro di posizionamento, durato all’incirca un trimestre con 30 risorse, non solo le views alle job pubblicate hanno avuto un’impennata del 96,4%, ma applicano persone sempre più consapevoli di ciò che facciamo, con profili di maggior valore (comprendendo, attraverso la comunicazione data, le dimensioni dell’azienda e la sua struttura).
Evito, ovviamente, di tediarvi con i riferimenti lato sales (dal momento che il social selling attraverso LinkedIn è un’altra grande passione), ma diciamo che se avessimo esternalizzato la consulenza, questa si sarebbe ripagata con il maggior fatturato generato attraverso lo stesso canale.
recruiting trendsL’Employer Branding però non è solo visibilità e coerenza interna comunicata all’esterno (= credibilità), che per un #SocialRecruiter ha molto valore. Il vero vantaggio sono i referral, manna dal cielo in termini di cost-saving e time-saving per chi fa recruitment, se la gestione del processo avviene correttamente, monetizzando lo sforzo, sia in positivo che in negativo.Ed è qui, a mio avviso, che si gioca la partita. Se si sta riducendo molto il ricorso agli head hunter, grazie alla digitalizzazione dei canali di selezione e alla fruibilità dei profili, si sta riducendo la qualità delle APL soprattutto lato permanent, poiché le vacancy nelle aziende, sono sempre meno standard e sempre più specializzate, in organizzazioni fluide come quelle odierne.
Avendo profili sempre più specifici e verticali da ricercare, solo gli specialisti puri sapranno riconoscere veramente le risorse corrette dal punto di vista operativo. Chi meglio di una risorsa interna può farlo? Chi meglio di una persona sul pezzo 8h al giorno all’interno dell’azienda può intuirne le potenzialità operative e di compatibilità?
Non è così semplice da fuori intuire le skills necessarie all’azienda e sappiamo perfettamente, che molto spesso, le stesse, sono difficilmente decifrabili per l’azienda. Quanto costa inserire alla perfezione queste le risorse che non conoscono l’azienda e quanto costa renderle compatibili con un team estraneo se poco omogenee? Il referral è chiave strategica, come strategica diventa l’area HR, per rendere meritocratico e inappellabile e coerente l’inserimento con quanto pianificato, poiché, quelle umane, rimangono le uniche risorse inimitabili per il valore distintivo sul mercato.

Quali sono per te i principali trend nel settore del recruitment e Social recruiting? Quali tendenze si svilupperanno ulteriormente e quali invece saranno ridimensionate nei prossimi anni?

Penso che il miglior trend nel recruiting in Italia sia il lento miglioramento dell’impatto della burocrazia sul lavoro, abbiamo visto il movimento generato da piccoli cambiamenti (jobs act, smart e remote working, tassazione straordinari, ecc…), possiamo certamente fare di meglio anche in termini di cuneo fiscale, garantendo più attaccamento e produttività. Oppure potremmo evitare complicazioni, come con la normativa per le dimissioni in bianco (classica operazione da ufficio complicazione pratiche semplici, dove rispetto a prima, non si è risolto nulla), che allunga solo le tempistiche per i nuovi da inserire.
Detto questo, molte delle risposte a questa domanda le ho già date nelle righe precedenti e le sintetizzerei così:

– Social Recruiting (con profili social al posto dei cv) > SUBITO
– Referral Program > DA IMPLEMENTARE E MIGLIORARE ENTRO 6 MESI
– Predictive Analysis con Predictive HR plan > DA IMPLEMENTARE ENTRO 12 MESI

In che modo l’impatto della tecnologia sta trasformando il tuo settore?
La tecnologia se utilizzata per avvicinare e rendere più coerenti e visibili (=credibili) le persone in cerca di lavoro, trasforma di continuo il settore. L’Umanizzazione della selezione, attraverso la velocizzazione e la facilitazione dei processi per i recruiter, cambierà di continuo il settore HR.
Sovrastimare la portata di video cv, test psicometrici e gamification, inseguendo trend IT più che HR, non mi sembra il vero core, se non orientato ad umanizzare il processo di selezione.
Rendere più umano il processo di reclutamento è impresa ormai da designer, poiché solo un’attenta UX del processo, lato risorsa e lato recruiter, può trovare risposte veramente efficaci.

In questo momento si assiste all’esplosione delle tecnologie per il recruiting, con la conseguente frammentazione e mancanza di integrazione tra le diverse soluzioni (job board, social recruiting, ecc…). Cosa pensi dell’utilizzo di un’Applicant Tracking System per centralizzare il recruiting e acquisire i CV dei candidati (senza dipendere da un database esterno)?

Penso che un Applicant Tracking System sia uno strumento incredibile di recruiting, se studiato con i criteri appena esposti, moltiplica le possibilità di trovare i giusti profili, aprendo innumerevoli canali, gestiti da un’unica interfaccia. Sapendo che ogni canale ha un suo target e un suo fruitore del tutto particolare, la scelta di questi strumenti permette spesso di dare il corretto taglio per fare performare a pieno le job. Credo, però, che il focus di sviluppo debba essere costantemente sull’integrazione e sull’automatizzazione; molte volte per migliorare le performance bastano soluzioni molto semplici, utilizzate bene (vedi l’esempio di calendly, funzionalità pienamente integrata in un ATS, ma che io uso per semplice comodità in termini di UX). Con un’ATS hai pieno accesso ai dati, alle metriche fondamentali per monitorare le performance di recruiting (che non devono essere ostacolo di complessità, ma devono essere real time e sintetiche) e al DB (per chi li usa, superando le complicazioni della privacy).

Quali canali utilizzi maggiormente per diffondere i tuoi annunci e reperire candidature?

Ultimamente sono un Social Recruiter monotono, uso snapchat e mi piace da matti swippare tra le varie possibilità, che potrebbe offrire questa applicazione social al mondo del recruiting; oggi è un canale molto lontano dall’essere strumento veramente interessante, a causa dell’utilizzatore-tipo.
Certo è che, se tanto mi da tanto, non servirà molto tempo per capire, che i nuovi talenti arriveranno presto anche da qui, visto il successo tra i giovanissimi. Poi ti sorprenderò… Il primo #recruitingammore (con due emme), non si scorda mai e io sono un romantico: LinkedIn. Come posso tradire il mio DB preferito da 26,2 bilioni di dollari?
Qualcuno ha detto: “l’azienda più noiosa del mondo ha comprato il social più noioso del mondo”, pensando ad un titolo tanto accattivante quanto non corretto. LinkedIn è un professional network e io lo adoro proprio perché i “social media qualcosa” e i “digital qualcos’altro” fanno una fatica incredibile a digerirlo. Credo che la UX del network si possa perfezionare, come anche il layout migliorato, ma non rivoluzionato.
Lo stesso sistema di sviluppo “a stati” o regioni mondiali non mi sembra una gran idea, ma le potenzialità, la credibilità e lo standing di questo network sono incredibili. E’ necessario ricordare che si definisce professional, non solo per il target, il “tone of voice” e il content, contorni per differenziare e tenere aggiornati i contenuti; LinkedIn è un Professional Network, perché come business model ha le due PaaS (Platform as a Service) che lo sostengono, trasformandolo in software per il lavoro. La mia verticale è lì, giocando di tanto in tanto con le altre piattaforme.
Ci racconteresti un “caso di successo” nel quale hai utilizzato un approccio innovativo nel recruiting?
Tra i migliori risultati ottenuti ritengo che ci sia la copertura di una pipeline con 20 candidati perfettamente in linea con la vacancy in 4 ore per un cliente, rimasto di stucco dalla rapidità. Oppure l’assunzione di un profilo IT estremamente specializzato e socialmente ineccepibile (lo dico per ridere), in poco meno di due giorni.
L’approccio utilizzato per arrivare a risultati di questo tipo, i tips e gli strumenti sono argomento chiave nella formazione pratica, fatta attraverso SocialRecruiter.it; per i progetti di RPO, tutto parte dal “Why?” (perché voglio un certo risultato, perché mi serve un certo profilo, ecc…) e, attraverso la pianificazione, passando da una fase di valutazione/testing dell’approccio più performante, individuabile attraverso l’utilizzo di strumenti classici, o non convenzionali di recruiting, per atterrare all’implementazione della strategia. L’approccio, devo ammettere, è spesso un po’ più markettaro che HR, ma in fondo l’HR è il primo venditore e PR dell’azienda, sostenuto da basi statistiche ed economiche solide.
In termini personali il “caso di successo” è la certezza di dare opportunità stabili di lavoro, in aziende solide, a 7 nuove persone al mese (time to hire medio tra le due aziende in cui collaboro); nel mio piccolo, questo è quello che mi rende felice, consapevole che, se non avessi un approccio e un paradigma completamente votato all’innovazione nel recruiting, sarebbe difficile ottenere determinati risultati da solo.

Ritieni che la figura del recruiter in questi ultimi anni si sia trasformata? Quali credi debbano essere le competenze per essere un recruiter di successo?

Credo che la differenza vera sia data dalla curiosità e dalla continua capacità di cambiare e cambiarsi; l’aggiornamento delle risorse è fonte di crescita aziendale, ed essere orientati da una motivata voglia di sperimentare, credo che oggi sia essenziale.
La capacità di essere analitici nella pianificazione, valutando le proprie strategie su basi numeriche è lo zoccolo necessario per non sprecare energie. Bisogna restare concentrati sui costi della propria area, per poterla mantenere in economicità con indicatori dedicati.
In ultima battuta, l’attenzione e la vocazione per l’automatizzazione dei processi poco remunerativi, è sempre chiave di ottimizzazione delle tempistiche e delle rese. Liberando il tempo dai processi si guadagna tempo per focalizzare la propria professionalità sugli elementi core del rapporto con le nuove risorse; dedicare tempo alla strategia, che in azienda spesso affonda sotto i colpi delle urgenze, soffocata dall’operatività, è elemento chiave.
In sintesi: curiosità, innovatività, motivazione sostenute da analisi, strategia, economia e doti organizzative di riscrittura dei processi attraverso la pianificazione; la “filosofia dell’hiring crazy” funziona se sai che “matti cercare”, altrimenti si rischia solo di perdere tempo e soldi in attività ludiche dal riscontro operativo nullo.

C’è un libro che consiglieresti ai lettori di recruiting Italia per il loro aggiornamento professionale?

Uno? solo uno? facciamo 4: 1) LinkedIn per aziende e professionisti di Antonella Napolitano e Francesca Parviero, il libro più completo che io conosca sul professional network numero 1 al mondo 2) The Collaborative organization di Jacob Morgan (vecchio ma con spunti affascinanti) 3) Design Thinking Process & Methods 2nd Edition di Robert Curedale, assolutamente necessario per i disegnatori di processi aziendali di oggi. 4) Il potere emotivo dei gesti di Amy Cuddy (ottimi spunti sulla presenza off-line da tradurre anche on-line).

Linkedin per aziende e professionisti parviero

 #Buon recruiting!