Intelligenza artificiale, naturale e HR – Intervista a Francesca Lombardo

Intelligenza artificiale, naturale e HR – Intervista a Francesca Lombardo

Si sente costantemente parlare dei progressi dell’Intelligenza Artificiale, delle sue molteplici possibilità di applicazione e dei limiti della tecnologia.

L’incontro dell’Artificial Intelligence (AI) con il settore delle Human Resources ha messo in evidenza i vantaggi che l’analisi dei dati può apportare nella gestione del processo di recruiting. Oltre a questi, però, sono emersi quesiti significativi a proposito del rapporto uomo-macchina, dell’impatto che l’AI ha avuto sulla ricerca e selezione del personale e del rischio di essere sostituiti da un’intelligenza “più intelligente”, se così si può dire, della nostra.

Sulla scia del suo intervento, tenuto lo scorso Novembre in occasione di HR Trend Talks, abbiamo intervistato Francesca Lombardo, psicologa ed esperta di Talent Acquisition and Development presso Prima Industrie S.p.a.

Presentati ai lettori del blog di In-recruiting, chi sei e di cosa ti occupi?

Sono una psicologa, lavoro da più di 20 anni nell’ambito della selezione e formazione del personale, prevalentemente in ambito aziendale e industriale. Sono appassionata di psicologia sociale, di neuroscienze, di nuove tecnologie, e il mix di questi interessi lo porto nel mio lavoro, tenendo sempre la persona al “centro”.

Il processo di ricerca e selezione del personale si è evoluto fino ad integrare il supporto dell’intelligenza artificiale. Quali sono stati gli effetti sulla figura del recruiter e, in generale, sul processo di recruiting in funzione della Talent Aquisition?

Sicuramente una velocizzazione delle pratiche di analisi e valutazione del CV: un ulteriore passo può essere fatto utilizzando i sistemi di intelligenza artificiale per superare eventuali pregiudizi impliciti che il selezionatore può avere, ed in questo caso bisogna porre molta attenzione sia allo sviluppo della soluzione sia all’imparzialità dei dati che le diamo da analizzare ed elaborare.

Che impatto ritieni abbia avuto, invece, sulla figura del candidato?

Dalla mia esperienza posso dire che molti candidati, quelli con approccio aperto e ottimistico nei confronti delle nuove tecnologie, apprezzano quando le aziende mostrano attenzione all’evoluzione tecnologica anche attraverso l’utilizzo di strumenti di supporto basati sull’AI. Dobbiamo però ricordarci sempre che il processo di selezione può essere supportato da strumenti informatici ma è comunque sempre un rapporto tra persone (il candidato e il selezionatore in primis): di certo tale aspetto non passa in secondo piano utilizzando gli applicativi, ma non sempre tale centralità della persona riesce a “passare” nel processo di selezione stesso.

interview recruiting

Quando si parla dei benefici derivati dall’applicazione dell’intelligenza artificiale nel recruiting, ci si riferisce spesso alla gestione di grandi quantità di dati, al rendere automatiche alcune attività (sourcing, screening CV, interview) e alla riduzione dei costi aziendali. E’ implicito, invece, il riferimento alla possibilità che viene concessa al recruiter di praticare l’empatia ed altre soft skills. Qual è la tua opinione in proposito?

Proprio per la centralità del rapporto umano nel processo di selezione, ritengo che il ruolo del selezionatore, in quanto persona e in quanto professionista, debba rimanere centrale. È però essenziale che il selezionatore sia sempre perfettamente consapevole di tutti gli aspetti positivi e negativi dell’”elaborazione umana” e utilizzi in modo attivo il supporto che può arrivare dall’AI. Quindi: approccio individuale e personalizzato per ogni candidato, attenzione al rapporto umano e a tutti gli aspetti “soft” della relazione, dalla motivazione alla gestione delle aspettative, alla comprensione profonda delle potenzialità del candidato, ma consapevolezza anche dei limiti della nostra capacità di elaborazione e delle potenzialità di analisi e supporto che ci possono arrivare dagli applicativi che vengono sviluppati in modo sempre più “intelligente”.

Uno dei vantaggi legati all’AI e all’utilizzo di software per la gestione del processo di recruiting – parliamo di Applicant tracking System (ATS) – ha a che fare con i bias cognitivi. Ci diresti di cosa si tratta e perchè ne sentiamo parlare così spesso?

Un bias è un pre-giudizio, una scorciatoia cognitiva che il nostro cervello utilizza in modo da poter prendere decisioni rapidamente anche senza poter analizzare tutti i parametri della situazione.  Nella maggior parte dei casi le scorciatoie decisionali (euristiche) funzionano e  permettono di velocizzare e semplificare il processo decisionale, evitandoci di analizzare in modo dettagliato e seriale tutte le informazioni, le probabilità e i vincoli legati a una scelta da dover fare. Talvolta però, come può capitare con tutte le scorciatoie, possono portarci a destinazioni sbagliate, e allora li definiamo “bias” o pregiudizi. Se implicitamente riteniamo che per svolgere un determinato ruolo si debbano possedere determinate caratteristiche, per esempio anagrafiche, finiremo con il farci influenzare da questo pre-giudizio nella valutazione dei CV: tanto più perchè non ci rendiamo conto dell’esistenza di questo medesimo pregiudizio. Allora, come nelle orchestre si è cominciato a scegliere più musiciste da quando le audizioni si fanno dietro un telo che impedisce di comprendere il genere di chi suona, così anche gli ATS possono aiutarci nel gestire in modo più equo il processo di selezione. Ciò a cui bisogna porre attenzione però è che la tecnologia non è di per sé neutra o equa: in un sistema si può rischiare di introdurre il pregiudizio dello sviluppatore o, per i sistemi basati sul machine learning, eventuali iniquità presenti nei dati che vengono utilizzati. E qui torna la centralità della “persona” e di un approccio etico.

“Il futuro della selezione sarà naturale o artificiale?”: dare una risposta definitiva a questa domanda sembra davvero impossibile. Nonostante gli sforzi compiuti in ambito di AI, non è un paradosso pensare che sarà comunque l’intelligenza umana a leggere e interpretare i risultati ottenuti attraverso essa?

Non vedo il paradosso nella necessità di avere sempre in parallelo l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale: anche se condividono l’etichetta di intelligenza, secondo me si tratta di processi molto diversi e comunque complementari. La sfida sta nel trarre il meglio dalle possibilità fornite da ogni strumento e di essere consapevoli dei limiti di ogni approccio.

 

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