Come sarà lo spazio di lavoro del futuro? – Intervista a Cristina Bardelli

Come sarà lo spazio di lavoro del futuro? – Intervista a Cristina Bardelli

Presentati ai lettori del blog di In-recruiting. Chi sei e di cosa ti occupi?

Sono Cristina Bardelli, tra i fondatori di WAU Architetti, studio multidisciplinare di progettazione attivo da dieci anni a Torino composto da un team organizzato di professionisti che grazie al mix tra esperienza, creatività e competenza verticale specializzata danno vita a progetti di diverse scale, offrendo ogni giorno a clienti, istituzioni e imprese un modo nuovo di esprimere il proprio potenziale. Lo facciamo attraverso lo spazio. È il nostro effetto WAU. E avere tanti punti di vista è il nostro più grande punto di partenza.

Proprio seguendo questa filosofia da due anni abbiamo creato un team multidisciplinare di progettisti che sta conducendo una ricerca sull’evoluzione degli spazi di lavoro: architetti, esperti di business, grafici, creativi, psicologi, data analysts, policy evaluators e professionisti della comunicazione lavorano insieme per indagare le nuove forme degli spazi dedicati al lavoro e per immaginare le possibili future tendenze. E proprio i contenuti generali di questo progetto di ricerca, che si chiama Rem-x, sono stati presentati in anteprima al HR Trend Talks 2019.

L’ambiente di lavoro è un fattore che contribuisce a dare valore a un’azienda. Uno spazio di lavoro innovativo attrae candidati e migliora l’engagement dei dipendenti. Secondo la tua esperienza, su cosa punteranno le aziende per coinvolgere i dipendenti?

L’engagement dei dipendenti e la talent attraction sono due tra i principali obiettivi che le aziende innovative di oggi puntano a raggiungere. In questo periodo storico stiamo assistendo ad una profonda trasformazione dei modelli lavorativi: il mondo del lavoro oggi sta vivendo una grande rivoluzione e la tecnologia ci permette potenzialmente di lavorare da qualsiasi luogo. Ma al ripensamento dei modelli lavorativi non è tuttora corrisposta una trasformazione degli spazi di lavoro, o almeno non alla medesima velocità. Sicuramente lo Smart working e il remote working, ovvero il lavoro agile e il telelavoro, sono fenomeni in atto che ci indicano in maniera chiara e netta la strada da seguire e l’orizzonte progettuale verso cui dirigerci. Ma la storia di questi spazi è ancora tutta da scrivere, e per fare questo occorre un cambiamento culturale.

Come progettista, credo profondamente infatti che la rigenerazione degli spazi di lavoro, che sia essa attuata tramite la progettazione integrale di nuove sedi o ottenuta attraverso la riorganizzazione di spazi esistenti all’interno di quelle sedi che ad oggi ci appaiono obsolete, sia uno degli strumenti più potenti ed efficaci che le Aziende hanno a disposizione per coinvolgere i propri dipendenti. Con il gruppo di lavoro Rem-x infatti creiamo soluzioni studiate ad hoc per questi obiettivi, proprio partendo dall’analisi delle criticità esistenti, attuando con alcune Aziende un processo partecipativo bottom-up, ovvero coinvolgendo in prima linea – e direttamente – i destinatari delle nostre architetture: i lavoratori.

Attraverso questo approccio è possibile infatti innescare fenomeni virtuosi di engagement dei dipendenti. E per raggiungere dei risultati concreti in termini di coinvolgimento e attraction occorre inoltre secondo noi mettere a sistema tre fattori: people – design – experience. Per risolvere questa equazione oggi più che mai è però necessario rimettere di nuovo al centro della progettazione culturale e di conseguenza architettonica il concetto cardine del progetto di ricerca Rem-x, ovvero il Work Life Balance. Troppo spesso questo equilibrio viene discusso ma poi de facto messo in secondo piano, mentre per noi è una priorità assoluta. Come progettisti siamo infatti chiamati a considerare la sommatoria di tutti quei fattori che compongono il grado di soddisfazione di un lavoratore nei confronti del proprio lavoro, avendo a che fare con una complessità di componenti essenziali, afferenti la sfera della soddisfazione individuale dei singoli a livello professionale e a livello personale. La progettazione di spazi che favoriscano l’innovazione, orientati al miglioramento della qualità della vita dei dipendenti è quindi a mio parere una carta fondamentale a disposizione delle Aziende in termini di talent attraction e human capital management.

Negli ultimi mesi l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha ridefinito modi e luoghi per lavorare. Come è cambiato il concetto di spazio di lavoro?

L’esperienza del lavoro in lockdown è stata decisamente utile per accelerare il processo di transizione verso modi di lavorare più contemporanei. Ha introdotto l’idea che esiste una effettiva possibilità di lavorare in un contesto diverso da quello abituale, ma al contempo ha evidenziato la difficoltà di ricavare nello spazio domestico la dimensione di privacy e di concentrazione necessaria allo svolgimento delle attività da remoto. Ci siamo tutti abituati a parlare di smart working anche quando in realtà spesso si è trattato di remote working o telelavoro, e abbiamo vissuto tutti le potenzialità e i limiti di queste nuove formule, in un equilibrio molto sottile tra libertà apparente, autonomia organizzativa e moltiplicazione degli orari di lavoro, che si sono sommate inoltre alle oggettive difficoltà gestionali individuali o familiari. Attraverso la ricerca Rem-x è da diversi anni che indaghiamo su questo tema ed oggi più che mai,  in relazione all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, sentiamo di dover riscoprire la centralità del tema del Work Life Balance nel dibattito sull’evoluzione dello spazio di lavoro. Perché lo smart working o lavoro agile costituisce la scintilla che può innescare il ripensamento dei modelli lavorativi. Con l’emergenza sanitaria da Covid-19 abbiamo avuto l’esperienza diretta di poter attuare questo cambiamento, a patto che ci sia un impegno duplice sia da parte dei lavoratori che da parte delle Aziende. Perché ovviamente se pensiamo al contesto in cui lo smart working è stato svolto, soprattutto in tempo di lockdown, abbiamo l’evidenza assoluta di quanto il contesto spaziale abbia un ruolo cruciale. Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali infatti il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante un accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. E quindi appare chiaro come non possa essere semplicemente svolto dal salotto di casa. Ha bisogno di spazi dedicati, di spazi di relazione e soprattutto, se da un lato consente autotomia assoluta nel modello organizzativo e gestionale, dall’altro deve saper interagire con processi di scambio e di relazione integrativi. L’esercizio dello smart working necessita sempre e comunque di momenti di condivisione e collaborazione non solo digitali, reintroducendo l’importanza della dimensione anche fisica del confronto.

Non dobbiamo quindi cadere nell’errore di legare il concetto di smart working al lavoro da casa. Sì, può essere svolto da qualsiasi luogo, anche in ambito domestico, ma per favorire processi di collaborazione e innovazione dobbiamo saper restituire lo spazio delle relazioni anche a quei lavoratori che potenzialmente possono lavorare da ovunque. E secondo noi la grande sfida per il futuro prossimo è quella di pensare e progettare proprio questi spazi.

In questo momento dobbiamo quindi interrogarci non tanto su quali cambiamenti abbia indotto l’emergenza sanitaria, quanto su quali cambiamenti dobbiamo ancora immaginare per consentire una transizione verso lo smart working più fluida e naturale. Ciò significa a mio parere rimettere al centro il tema del Work life balance, ovvero l’uomo e le sue esigenze, per immaginare, progettare e realizzare oggi gli smart offices di domani.

L’ufficio tradizionale è stato sostituito nel tempo da spazi aperti e postazioni condivise. Con la ripresa delle attività dopo il lockdown, queste si apprestano a lasciare il posto a pareti separatorie, scrivanie a distanza e gestione programmata delle aree comuni. Stiamo assistendo ad una nuova definizione dello spazio di lavoro o ad una sua involuzione?

No, non credo che si tratti di una involuzione, quanto di una nuova declinazione di natura probabilmente temporanea che però è servita da acceleratore ai processi, in Italia ancora molto lenti, di transizione del modello lavorativo ordinario verso soluzioni innovative digital-oriented.  In realtà se ci pensiamo bene alcuni cambiamenti che, in relazione alla natura dello stress che abbiamo vissuto, imputiamo essere stati indotti dal Covid-19, sono in realtà più legati alle abitudini di fruizione dello spazio che alle caratteristiche dello spazio stesso. E con questo intendo dire che solo alcuni aspetti legati agli spazi del lavoro hanno subito un cambiamento repentino esclusivamente legato alle norme di sicurezza e di distanziamento sociale, ma al contempo rappresentano un primo passo verso l’evoluzione dei modelli lavorativi contemporanei, introducendo concetti fondamentali come quello dello smart working. Mi riferisco ad esempio alla prossemica, ovvero agli atteggiamenti e movimenti che il nostro corpo adotta in relazione agli spazi in cui ci troviamo. E’ cambiato il modo di salutarsi, di entrare negli uffici, è cambiato il modo in cui usiamo le nostre postazioni, abbiamo inserito delle barriere trasparenti ma non sono certa che siano delle soluzioni di natura perenne. In realtà se guardiamo ai nuovi mutati comportamenti di esperienza dello spazio di lavoro in chiave positiva, possiamo anche notare come abbiamo dovuto imparare velocemente a organizzare riunioni e meeting da remoto, sforzandoci di programmare la nostra presenza nei locali comuni, abbiamo subìto (o indotto) un percorso di digitalizzazione dell’attività lavorativa che era in fondo più che necessario.

Come progettista ho una chiara visione su come questa crisi abbia messo in luce la necessità, per noi già manifesta in epoca ante Covid-19, di superare i modelli lavorativi attuali a partire anche dagli spazi in cui essi vengono svolti, e ci indica con estrema chiarezza la strada da intraprendere nel futuro immediato per adeguare gli spazi di lavoro alle nostre nuove mutate esigenze.

Molte aziende hanno predisposto lo svolgimento del lavoro da casa e in modalità smart working. Come si configura quello che potremmo definire “home made office”?

L’home made office rappresenta il manifesto di tutte le difficoltà della transizione tra lo svolgimento in sede e lo svolgimento da remoto dell’attività lavorativa. Quasi tutti i lavoratori che hanno dovuto in tempi di lockdown trovare e allestire all’interno delle proprie abitazioni delle postazioni di lavoro hanno potuto in realtà sperimentare sulla propria pelle l’esperienza della inadeguatezza del contesto domestico all’attività lavorativa. Questo accade anche perché ancora troppo spesso si confondono i modelli lavorativi del telelavoro e del lavoro agile, ovvero del remote working con lo smart working, ma è bene fare chiarezza. Lo smart working è una modalità di lavoro fondata sulla totale libertà secondo tre diverse dimensioni:

  • dimensione organizzativa, perchè una volta concordati obiettivi e risultati attesi lo smart worker gestisce in totale autonomia le risorse che l’azienda gli fornisce
  • dimensione temporale, perché è possibile agire in modalità asincrona e remota rispetto all’azienda con grande libertà in termini di orari e ritmi
  • dimensione fisica, perché lo smart worker può lavorare dove preferisce, garantendo la propria presenza fisica solo in momenti stabiliti e in caso di necessità.

E questo è profondamente diverso da altre forme di lavoro che spesso vengono confuse con lo smart working. Ad esempio il telelavoro non prevede alcuna libertà perché è semplicemente una dislocazione fisica del lavoratore, il remote working ha orari prestabiliti sebbene può essere esercitato da ovunque.

E ritornando allo smart working e all’esperienza del lavoro svolto negli homemade offices, possiamo rilevare come ci sia stato un riscontro immediato dell’esigenza di adeguare le distribuzioni planimetriche delle abitazioni allo svolgimento dell’attività lavorativa, che si è tradotto nella sempre più frequente domanda a noi architetti di soluzioni spaziali di adattamento e conversione dello spazio domestico in postazioni di lavoro. E alla luce di queste informazioni verrebbe da pensare che lo smart working svolto da casa sia la modalità di lavoro del futuro e che l’utilità degli uffici possa essere messa in seria discussione. Ma non può essere ovviamente questa la prospettiva, perché oltre a portare innegabili vantaggi, gli home made offices introducono nuove problematiche e nuovi bisogni insoddisfatti, come il bilanciamento vita/lavoro messo in questo contesto in seria discussione.

Immaginando quindi un processo di trasformazione che veda sempre più smart workers e meno remote workers, gli spazi che dobbiamo progettare oggi sono destinati a risolvere queste esigenze, ovvero trovare dei contesti in cui si possano costruire e coltivare le relazioni e in cui si possano attuare confronto e scambio, rimettendo al centro il work life balance.

Quali sono le conseguenze dello smart working?

Ora che abbiamo messo a fuoco lo smart working ci è forse più chiaro quanto questo nuovo metodo, se non organizzato dal lavoratore e non gestito con attenzione a livello aziendale, possa indurre un sovraccarico lavorativo. Abbiamo assistito soprattutto nell’ultimo periodo per gli smart workers ad un aumento dell’orario di lavoro, che purtroppo non ha visto un parallelo aumento della produttività o della remunerazione. Molte aziende si stanno organizzando per mantenere in auge questo modello lavorativo per il futuro prossimo, anche a volte pensando a un ridimensionamento radicale delle loro sedi.

Nell’esercizio dello smart working abbiamo bisogno di orari di lavoro flessibili e di obiettivi da raggiungere ma dobbiamo essere autonomi nello svolgimento dell’attività e questo atteggiamento deve ancora purtroppo superare un ostacolo culturale legato all’organizzazione gerarchica del lavoro ed allo stesso tempo introduce però delle tematiche innovative legate ai contesti spaziali in cui questo lavoro viene svolto. È necessario immaginare un cambiamento che ci permetta di andare oltre ai limiti evidenziati dagli homemade offices, che abbiamo sperimentato non essere la soluzione. E l’imperativo culturale di oggi è quello di immaginare una rivoluzione degli spazi di lavoro, che recepiscano da un lato questo cambiamento, ma soprattutto che rispondano alle esigenze dei lavoratori contemporanei con soluzioni concrete e innovative. Ci servono spazi che favoriscano lo scambio e le relazioni, che ci consentano di collaborare e di innovare, e che soprattutto siano orientati al recupero di un equilibrio vita/lavoro, secondo noi fondamentale per il coinvolgimento dei dipendenti.

Come abbiamo accennato, la ripresa delle attività necessita di una riorganizzazione e messa in sicurezza degli uffici. Oltre alle modifiche previste per legge, di cosa avranno bisogno le persone per tornare a lavorare?

Diverse, varie e spesso contraddittorie sono state le regole che l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha generato. E la loro applicazione ha introdotto delle abitudini relazionali e spaziali completamente diverse da quelle di prima. Le persone per tornare a lavorare avranno secondo noi bisogno di spazi per il confronto e lo scambio. Di spazi di relazione da fruire in totale sicurezza ma recuperando la fiducia verso gli atteggiamenti di condivisione e collaborazione. Come architetti oggi più che mai siamo chiamati infatti ad ideare per le Aziende delle soluzioni architettoniche innovative rivolte alle comunità di lavoratori, progettando uffici che favoriscano lo scambio, il confronto, la creatività, ovvero quanto di più importante ci è stato negato durante il lockdown. Con il nostro team multidisciplinare immaginiamo così spazi di lavoro fluidi, organizzati intorno alle esigenze dei lavoratori nella logica non solo dell’efficienza e produttività, ma guardando con sguardo consapevole al work life balance dei singoli.

Il nostro modello di riferimento che ci aiuta a mappare questo cammino verso il futuro degli spazi di lavoro è l’activity based working. Il lavoratore che immaginiamo infatti può muoversi liberamente all’interno del workspace, scegliendo sua sponte i luoghi che meglio si adattano al tipo di attività che in quel momento deve svolgere, una sala meeting o una silent room, un open space o una scrivania condivisa. Abbiamo quindi bisogno di spazi capaci di interpretare tendenze e necessità diverse, che non nascono per singole necessità di utenti prestabiliti, ma per attrarre diversi gruppi di utenti, con diverse esigenze e che sono capaci di interagire collettivamente con lo spazio in maniera quasi simbiotica e responsabile dal punto di vista della sicurezza, personale e collettiva.

Quali saranno le conseguenze di questa nuova gestione degli uffici per le aziende e le HR?

La pandemia come abbiamo sperimentato tutti, ha messo in luce le problematiche che già prima esistevano, ma è evidente che oggi serve un cambiamento, nell’organizzazione e nei contesti spaziali. Già in epoca ante Covid-19 molte Aziende ed HR iniziavano ad interrogarsi su quali forme possibili si profilassero nell’evoluzione degli spazi di lavoro, perché sappiamo che una corretta progettazione del luoghi di lavoro concorre infatti alla diffusione dei core values dell’azienda, contribuisce a riflettere ed esprimere la sua cultura e promuovere l’inclusione e il senso di appartenenza.  Come progettisti cerchiamo quindi di interpretare l’esperienza del lockdown come una risorsa che ha messo in luce tutte le criticità da risolvere. In questa direzione, coinvolgendo Aziende e HR nel processo di ripensamento degli spazi di lavoro possiamo capire una cosa fondamentale: ci troviamo oggi davanti ad un’occasione: possiamo indurre un ripensamento dell’ambiente di lavoro che da spazio funzionale diventa oggi valore condiviso, specchio di uno stile di leadership e strumento per una vita, non solo lavorativa, più piacevole. Questo ragionamento ha come focus il paradigma che Rem-x mette al centro della progettazione, ovvero che SMART OFFICES ATTRACT (AND RETAIN) SMART PEOPLE.

Il rinnovamento estetico e funzionale di uffici di vecchia generazione trasformandoli in Smart Offices, è quindi l’imperativo progettuale per i prossimi anni. Adottiamo a questo scopo un approccio human centered, ed abbiamo bisogno degli HR per conoscere le esigenze di chi abiterà i luoghi che progettiamo: uno spazio innovativo, che sappia comunicare e diffondere in maniera costante e quasi invisibile i valori aziendali, rafforza l’identità aziendale, aumenta il senso di appartenenza dei dipendenti e diviene una carta spendibile in termini di immagine e branding.

Ma allo stesso tempo genera un ambiente più collaborativo e più produttivo per chi vi lavora quotidianamente, migliorandone le condizioni di comfort e tendendo all’annullamento dello stato di stress, contribuendo ovvero ad un miglioramento della qualità della vita.

Se ti chiedessimo di fare una previsione, come sarà lo spazio di lavoro del futuro?

In opposizione alle più vecchie concezioni di modelli fixed, dobbiamo rispondere a questa rivoluzione in atto creando degli spazi FLUIDI, organizzati intorno alle esigenze dei lavoratori nella logica non solo dell’efficienza e della produttività, ma guardando dritti al work life balance dei singoli. Se immaginiamo di poter rivoluzionare dall’interno i nostri spazi per il lavoro, la strategia di progettazione da mettere in atto deve adottare un approccio estremamente analitico. Partendo dall’analisi spaziale degli uffici e dall’esperienza delle persone che lo vivono, identifichiamo lo scenario ideale bilanciando i requisiti spaziali identificati dagli utilizzatori e l’ottimizzazione dell’uso dello spazio secondo diversi punti di vista: architettonico, estetico, ingegneristico, psicologico e di brand&communication design.

Le nostre soluzioni spaziali per essere attrattive verso nuovi talenti, per facilitare l’employment engagement e per assicurare elevati livelli di benessere organizzativo in termini di produttività e di performance dovranno: garantire altissimi livelli di flessibilità, favorire l’inclusione, garantire elevate prestazioni di comfort ambientale e funzionale, integrando in maniera sempre più user-friendly l’immenso apporto IT,  introducendo dei linguaggi di comunicazione visiva in chiave ludica.

A questo scopo i requisiti che chiederemo ai nostri edifici di soddisfare riguarderanno diversi ambiti: ovvero le connessioni, la commistione organizzata di spazi di lavoro / relazione / socialità, il controllo digitale IOT delle performance dell’edificio (come la misurazione in tempo reale delle reazioni dell’edificio alla variazione di condizioni ambientali, come temperatura, umidità, acustica, ventilazione e illuminazione), ottenendo ambienti ottimali dal punto di vista lavorativo e sociale.

Attraverso la progettazione puntiamo a generare comportamenti come concentrazione/collaborazione/coinvolgimento/empatia/creatività che nella loro summa producono innovazione. Questi atteggiamenti legati al modo di lavorare si manifestano anche attraverso  le possibilità spaziali che i nostri moderni edifici offrono. Uno dei fulcri della nostra progettazione è infatti la creazione di spazi di connessione: piattaforme fisiche di scambio di saperi. Si tratta di aree comuni che possano prestarsi al confronto e allo scambio, in sinergia ideale con la costruzione della comunità. Spazi però anche dedicati all’apprendimento o dedicati alla comunicazione dei valori aziendali.

Quindi il nostro obiettivo per il futuro è trasformare il luogo di lavoro in uno spazio in cui le persone possano trovare un ambiente che favorisca la concentrazione, l’innovazione e la creatività, permettendo dunque di svolgere le proprie attività in maniera ottimale, con passione e motivazione. Lo spazio fisico è un potente strumento, teso ad attrarre e motivare i talenti, a raccontare l’essenza stessa dell’azienda; è ciò che la rende unica e che aiuta l’identificazione dei valori comuni, cui si è orgogliosi di appartenere e che vale la pena comunicare.