Agile HR e Agile Recruiting in azienda – Intervista completa

Agile HR e Agile Recruiting in azienda – Intervista completa

In occasione del webinar dedicato al tema ‘Agile HR e Agile Recruiting in azienda’, abbiamo avuto il piacere di ospitare due esperti del settore: Matteo Sola, HR Learning & Development Leader, coordinatore del master Digital HR di Talent Garden e partner di Kopernicana, e Laura Murgia, People Organization & Acquisition Lead in TUI Musement.

Riproponiamo qui l’intervista completa del webinar durante il quale Matteo Sola ci ha aiutati a comprendere il concetto di ‘Agile HR’ e il legame tra la filosofia agile e il mondo delle risorse umane mentre Laura Murgia ci ha parlato di un modo più agile di fare ricerca e selezione e sperimentato in TUI Musement, raccontandoci la sua esperienza diretta con quello che si può chiamare ‘Agile Recruiting’.

Buona lettura!

D: Oggi molte aziende e team HR si stanno affacciando a questi temi, tant’è che termini come Agile HR e Agile Recruiting vengono usati sempre più spesso. Cosa significa oggi ‘Agile HR’?

Matteo: Una domanda non facilissima, nel senso che lo stiamo scoprendo e capendo in questi anni. Ricordo di aver partecipato circa due anni fa, ad uno dei primi corsi che vennero organizzati in Italia da Maria Pia Thoren, che è l’autrice di Agile People, forse il primo libro – e per certi versi quasi l’unico – che parla di questo: Agile applicato al mondo delle risorse umane. All’epoca quindi, fino a pochissimo tempo fa, non si aveva per niente idea di cosa fosse l’Agile applicato all’HR. Io ho sempre pensato che questo potesse essere una grossa potenzialità per la nostra professione, per le nostre attività e per il valore che cerchiamo di portare alle persone. In questa prospettiva, che è quella della Thoren ma anche la mia, diciamo che diventare più agile nell’HR dovrebbe significare tendenzialmente due cose: da un lato, capire e conoscere questo tipo di filosofia perché non sono solo metodi e strumenti ma è principalmente un framework di riferimento e un mindset che bisogna applicare al proprio lavoro, quindi conoscerlo anche noi come HR e non solo i developer nel loro mondo molto tecnico in cui è nato, ma saperlo diffondere e incentivare all’interno dell’organizzazione. Proprio perché oggi contiene una serie di pratiche, rituali e metodologie che non sono più solo del mondo dei developer ma possono arrivare a qualsiasi funzione, noi HR dobbiamo conoscerlo per riuscire a sostenerlo. Dall’altro lato, diventare noi in prima persona più agili. Diventare più Agile nell’HR significa applicare alcuni strumenti, come ad esempio la Kanban Board – tipico strumento dell’Agile o della Lean, a seconda della prospettiva, ma comunque in questo tipo di ambito – così come riuscire a lavorare in modo più inter-funzionale con le altre funzioni e gli altri ruoli che abbiamo in azienda per costruire e gestire i nostri processi. Questo ci rende più agili nella nostra funzione. Da un lato è un tema di strumenti e dall’altro è un tema di processo, di cui parlerà anche Laura perché Musement – in cui ho lavorato anche io fino a pochissimo tempo fa – è un’azienda che ha un processo inusuale in ambito recruiting, che include e ingaggia i manager in modo un po’ diverso in azienda, li rende parte di un processo che è guidato più da loro che dall’HR. Quindi ribalta questo tipo di prospettiva. Questi meccanismi, in tutte le attività della funzione HR, rendono più agile la funzione HR. Se vogliamo, questa si potrebbe riassumere – citando un altro grande leader HR italiano che è Roberto Battaglia di Intesa Sanpaolo – nella capacità di riuscire a farsi i fatti degli altri, molto di più di quello che si fa di solito: non nel senso di spiare ma di capire il business, di entrare in quello che fanno le altre funzioni e lasciare che gli altri si facciano i fatti nostri. Quindi, al contrario, aprire certi mondi dell’HR che non sempre sono così aperti e riuscire a instaurare una collaborazione diversa, molto più vicina e intima con il business perché anche questo capisca quello che facciamo noi. Da questa nuova interdipendenza può nascere un nuovo modo di lavorare, diverso e sicuramente più agile.

D: In un certo senso, possiamo dire che si tratta di sperimentare all’interno delle aziende e lo abbiamo visto anche un po’ in questo periodo. Molte aziende hanno sperimentato nuovi modi di lavorare forse anche in una maniera un po’ inaspettata durante questa emergenza sanitaria. Possiamo pensare che sia un primo passo verso l’affermazione di questi nuovi modi di gestire i processi e il lavoro all’interno delle aziende? Pensi che si affermerà nel futuro?

Matteo: La situazione di quest’anno ha spinto alcune aziende a diventare più agili rispetto a come erano prima, è stata una reazione. Penso alla crisi, al remote working massivo e via dicendo, alla sperimentazione con gli OKR (Objectives and Key Results) che abbiamo fatto in Musement e non siamo stati gli unici perché avere degli obiettivi è servito tantissimo ed è collocabile all’interno di questo ambito di lavoro agile, iterativo e continuativo basato molto sul feedback tra le persone. Io credo che questo sia un trend che rimarrà, che era già precedente a questa crisi e a quest’anno, anche se iniziava appena ad arrivare, era un barlume in Italia. Io credo che sarà uno dei trend principali nel mondo HR nei prossimi 3 – 5 anni, assieme al mondo della trasformazione data-driven legata alla Digital Transformation (nel senso di strumenti e di utilizzo di dati), all’Intelligenza Artificiale e all’automation.

D: Riguardo alla filosofia agile, molte aziende oggi si stanno muovendo in quest’ottica o stanno iniziando a prendere in considerazione questa possibilità. Per un’azienda che oggi voglia fare Agile, quali pensi che possano essere i requisiti necessari? Sempre che di requisiti si possa parlare considerando che ogni azienda ha dinamiche interne ed esigenze specifiche.

Matteo: Credo che il vero prerequisito sia la volontà, innanzitutto. La volontà della leadership, di cambiare un po’ il modo di lavorare perché è di questo che stiamo parlando: di modificare prima il modo di pensare e poi di lavorare delle persone, potenzialmente anche ad ampio spettro. I prerequisiti, di conseguenza, sono tutti culturali, in realtà, cioè avere una cultura pronta in azienda a favorire determinati principi che sono strettamente connessi all’Agile. Parlo della trasparenza, ad esempio, sempre più radicale a tutti i livelli. Parlo del lavoro iterativo che per certi versi modifica la nostra tendenza a pianificare in un certo modo, a gestire i progetti in un certo modo, soprattutto se siamo abituati a farlo in waterfall, quindi dal punto di vista del Project Management in senso stretto. La capacità di pensare in ottica un po’ più sperimentale, la sperimentazione quindi, il test continuo, l’aggiustare il tiro continuamente a seconda di come vanno questi test. Quindi non pensare più che si possa costruire qualcosa in azienda magari studiando 1 anno o 5 anni per poi mettere in piedi il processo, il prodotto o il servizio perfetto. Questo, a causa della Digital Transformation che impatta il nostro business a tutti livelli e del cambiamento continuo del mondo esterno, a mio parere non esiste più.  Ma non può esistere a maggior ragione come ottica, se lavoriamo in Agile, perché si tratta di iterazione, test e aggiustamenti continui di quello che facciamo. Ciò che facciamo non è mai definitivo quindi dobbiamo avere la predisposizione alla sperimentazione, allo scoprire cose, all’imparare continuamente, quindi farsi domande anche, da cui i rituali Agile della retrospettiva, dei meeting ricorsivi di vario genere con tante tecniche. Quindi il vero punto è che non si tratta di instaurare un software specifico, uno strumento specifico o di imparare una metodologia. Bisogna cambiare il mindset. Ci vogliono questi presupposti culturali o quantomeno la volontà di costruirli perché quasi nessuna azienda nasce già con questi elementi. Li può costruire man mano che lavora in ottica Agile per introdurre questo modo di lavorare, però deve avere la volontà. In caso contrario ci troveremo davanti a dei blocchi, in ottica HR, che sono relativi alle resistenze delle persone, resistenze al cambiamento che in quel caso diventano insormontabili. Perché ad esempio se non si vuole essere trasparenti – dico la cosa più evidente – allora c’è un problema che difficilmente l’Agile risolverà, piuttosto lo porterà alla luce.

D: Un processo che necessita di tempo quindi e che le aziende dovranno attuare in maniera graduale.

Matteo: Si, necessita di tempo. Come tutti i processi di cambiamento, è più facile partire in un’area; secondo me l’area HR stessa è un’ottima area di sperimentazione. Successivamente partire dallo sperimentare su alcuni team che sono magari anche più predisposti o in parte già lavorano in quel modo. Pensiamo ai team che lavorano sulla tecnologia in azienda, se ce li abbiamo, hanno già un po’ di questo mindset anche se non lavorano esattamente così, e poi da lì estendere man mano il processo.

D: Un ruolo prioritario nella filosofia agile viene assegnato proprio alle persone. C’è uno spostamento del focus, rispetto al tradizionale modo di lavorare, che mette al centro il team, non solo la persona.

Matteo: Si, il centro e il focus è il team. Motivo per cui ci tengo molto a stressare lo strumento degli OKR sul team e non a livello personale individuale. Perché l’ottica del team – questo è un altro trend e tema di fondo dietro l’Agile – è la dimensione principale in cui creiamo il massimo della produttività, dell’efficacia e dell’engagement delle persone stesse. Oggi si sta sentendo nel mondo HR e non solo, che la vera unità di base in un’azienda è il team, non l’individuo. Concentrarsi troppo sull’individuo può essere fuorviante perché appunto fomenta l’individualismo che può essere a tratti eccessivo, la competizione, e una serie di bad behaviours legati a questi fattori e, purtroppo, anche incentivati da alcuni processi tradizionali come il Performance Management tradizionale che si basa sull’individuo e non certo sul team. Spostare il focus sul team alimenta, invece, la coesione, la collaborazione, il fatto che ci sia un’accountability diffusa per cui, ad esempio, ho delle responsabilità magari specifiche ma insieme ci si da una mano perché abbiamo obiettivi comuni. L’Agile è sicuramente la metodologia che aiuta a farlo perché l’idea è che gestisco i progetti mettendo sullo stesso tavolo tutte le competenze che servono per gestire quel progetto. Da qui anche il tema dell’inter-funzionalità che scardina un po’ i confini normali del team a silos che spesso abbiamo sulle funzioni. Quindi si mettono insieme persone con ruoli diversi che possano contribuire a portare avanti il lavoro in queste iterazioni di una settimana, due settimane, un mese, in cui tento sempre di produrre un valore significativo per quello che è il mio utente, che può essere il cliente o, nel caso dell’HR stesso, anche il cliente interno e i nostri colleghi.

D: Parliamo di competenze. In relazione al team, e puntando l’attenzione sulla figura dell’HR, quali possono essere le competenze necessarie per lavorare con un team agile ma anche all’interno di un team agile?

Matteo: Ci sono competenze tecniche così come strumenti a seconda del modello che si segue perché, appunto, l’Agile è tante cose, non è una cosa sola. Se prendiamo il framework di riferimento più tipico e condiviso che è Scrum, ad esempio, c’è una metodologia di lavoro e di progetti specifica e che funziona in un certo modo. Ci sono anche dei ruoli specifici e verticali quindi, se lavoriamo in Scrum, avremo lo Scrum Master, lo Scrum Owner, questi ruoli hanno un profilo di competenze. In generale, secondo me, le competenze che servono per riuscire a lavorare in questo modo sono competenze soft, sono soprattutto capacità relazionali, capacità di interagire in modo efficace con i propri colleghi all’interno di questo nuovo framework di riferimento e di gestire tanti aspetti del lavoro che a quel punto diventano più fluidi e si basano molto sulla capacità di risolvere i problemi quando emergono, di avere pensiero critico, di allinearsi continuamente, di ascoltare, di saper ascoltare gli altri soprattutto (una cosa che in azienda diciamo tanto ma facciamo poco), e anche qui una serie di metodologie aiutano. Quindi si tratta soprattutto di competenze soft. Poi è chiaro che se si sceglie di fare questo di mestiere – un facilitatore, un Coach Agile, uno Scrum Master – esistono dei percorsi di certificazione per farlo che hanno una serie di competenze più tecniche dietro. Parliamo di competenze soft e non è un caso che molti di questi professionisti in realtà non vengano dall’ambito del software, non siano ingegneri ma spesso psicologi o abbiamo un background più umanista. Ce l’hanno per questa ragione.

D: Oggi un’azienda che intende fare Agile ha bisogno di strumenti agili oppure di formare e attrarre persone agili?

Matteo: Ha bisogno di un mix di cose. Secondo me gli strumenti sono importanti ma sono “l’ultima cosa”. Bisogna partire dalla cultura e dalla formazione quindi, secondo me, la prima cosa in cui investire il budget è un po’ di formazione su questi temi, eventualmente un po’ di consulenza, di coaching sul campo, per iniziare a dare concretezza perché la formazione da sola su questo tema non basta. Parlarne serve a capire qual è il tema, ma se vuoi veramente a vedere degli effetti e iniziare a cambiare il tuo modo di lavorare, devi applicarlo e farlo sul campo, sui tuoi progetti, sulle tue attività e creare cantieri di sperimentazione in azienda. Quindi tipicamente lo strumento principe per diventare più Agile è il coaching sul campo ed è meglio rivolgersi a consulenti esterni in tal senso. Poi ci sono i tool e gli strumenti. La cosa bella dell’Agile è che le persone trovano i loro strumenti, sperimentano cosa veramente può servire nel loro lavoro. Quindi non si tratta, lato HR, di decidere che da domani lavoriamo tutti con Trello, ad esempio, perché magari a qualcuno non serve a niente farlo. Ogni team dovrebbe avere un certo margine di libertà per poi scegliere i propri strumenti in accordo con quelli che sono gli scopi e i modi di lavorare che va a costruire. Come processo, è quello che dicevamo prima, gestirlo come un tipico processo di cambiamento, quindi partire da un’area più predisposta, isolarla, anche su alcuni team, sperimentare e poi estendere, facendo vedere agli altri quali sono i risultati. Questo farà emergere dei problemi per certi versi, anche di sinergia e collaborazione con altri team, perché quando inizi a lavorare in Agile e gli altri sono in waterfall, spesso comincia a disallinearsi qualcosa, ma è positivo che avvenga perché poi da lì si introduce il cambiamento anche altrove, o si capisce come incastrarsi diversamente e come portare valore all’intera struttura con questo tipo di metodo.

D: Il focus sulle persone e sul team ha un’importanza rilevante e questo non può prescindere dalle figure HR e dallo stesso processo di recruiting. Si parla sempre più spesso di Agile Recruiting e questo ha portato un po’ a cambiare il processo di ricerca e selezione. Laura, cosa ne pensi? Come credi sia cambiato il processo di selezione anche in base alla tua esperienza in Musement?

Laura: Penso che il processo di ricerca e selezione adesso sia cambiato non soltanto perché è una necessità intrinseca al cambiamento del mondo, nel senso che le aziende stanno attraversano un fortissimo cambiamento culturale; probabilmente anche il periodo storico in cui stiamo vivendo ha in un certo senso contribuito a mettere il piede sull’acceleratore verso il cambiamento in generale. In questo, il gioco del recruiting e il ruolo di chi poi si occupa di questo in un’azienda è altresì cambiato. Perché ad un certo punto siamo noi, dobbiamo essere noi prima di tutto a saper evolvere, ad adattare e modificare il nostro processo sulla base di quelle che sono le necessità del momento.

Da noi per esempio, questo tipo di approccio alla gestione del recruiting è stato un’evoluzione naturale, relativa a una necessità, ovvero quella di assumere un grandissimo numero di persone in pochissimo tempo, e la chiave di volta, la motivazione che poi ci ha portato ad adattarci ad un processo nuovo, è stata la necessità di avere una fortissima collaborazione tra vari team che necessitavano di inserire nuovi membri all’interno delle loro aree. Questo ci ha portato a modificare completamente il processo. Io provengo dalla consulenza, quindi sono abituata a gestire già di per sé ogni richiesta di inserimento come un progetto. Questo oggi in Musement lo facciamo in una maniera molto forte. Forse perché ci rifacciamo ai principi del Modern Agile, noi consideriamo ogni persona come unica, autentica e di conseguenza, dato che il ruolo è di fatto ricoperto da una persona, gestire il processo di recruiting in una maniera standard, nella modalità classica che noi tutti conosciamo – quindi pubblichiamo la job description, facciamo i primi colloqui, poi inseriamo – non era assolutamente fattibile. Questo perché in un contesto dinamico come il nostro, dove il valore aggiunto che può portare la persona all’interno del ruolo è fondamentale, avevamo e abbiamo bisogno tutt’oggi di un processo che sia assolutamente adattivo e iterativo. In questo, il ruolo dell’Hiring Manager, che una volta era il cliente finale e che probabilmente nel processo classico vede la fine di tutto quello che ci sta dietro, da noi invece ha un ruolo che richiede un grande sforzo in termini di timing, ma questo poi porta un valore aggiunto a tutto il processo che è veramente imprescindibile. Il nostro processo non ha mai la stessa modalità: ogni ruolo nuovo lo gestiamo come un progetto, quindi c’è tutta una parte di kick-off iniziale e adattiamo il processo sulla base di quello che è l’esito che vogliamo raggiungere. Ma non solo. Una volta che definiamo quale potrebbe essere il processo ideale, questo lo continuiamo a cambiare continuamente. Come lo facciamo? E’ chiaro che l’apertura, il feedback e la ricerca continua da parte nostra, quindi della funzione HR, e diciamo anche l’apertura da parte dell’Hiring Manager, è fondamentale. Intendo che abbiamo dei momenti in cui ci sediamo, facciamo un’analisi di quello che è stato fatto, capiamo quali sono i punti di forza del nostro processo e, se ci rendiamo conto che c’è qualcosa che deve essere cambiato, lo facciamo, anche se si tratta di cambiare completamente una Job Description, cambiare il tipo di processo o aggiungere dei pezzi nuovi. Questo è complesso, perché richiede una flessibilità rilevante, una capacità di cambiare rotta che non è innata in alcuni contesti. Devo ammettere che noi all’interno di Musement lo facciamo in maniera semplice perché questa è l’evoluzione naturale di quello che c’è stato e di quello che c’è oggi nel contesto che stiamo vivendo – oggi la nostra azienda è appena stata fusa con un colosso. E ancora di più, la capacità di adattarsi continuamente al contesto è veramente fondamentale soprattutto quando si parla di recruiting.

D: Partendo da alcune necessità che vi hanno spinto all’interno di Musement a mettere in atto un cambiamento, perché alla fine di questo si è trattato, quali effetti avete riscontrato principalmente all’interno della vostra realtà?

Laura: Insieme alle mie colleghe (il nostro è un lavoro di team molto importante, parlo di team HR in primis), cerchiamo di adattare i nostri processi per massimizzare l’efficienza delle nostre attività. Questo ha portato come maggior beneficio un’aggiunta di valore alla nostra attività, quindi noi possiamo dire che portiamo a bordo delle persone che hanno un vero valore, non copriamo la posizione perché va coperta, ma ci prendiamo il tempo giusto per far sì che il valore finale sia davvero qualcosa di importante e di effettivo e la conseguenza è la soddisfazione e la serenità con cui poi gestisci il processo. Ricordo ancora l’ansia quando si presentava la shortlist al cliente senza aver fatto prima un percorso di raccolta di feedback e di scambio di quello che si stava facendo. Noi questo tipo di sensazione non la proviamo perché, ad esempio, io non presento una rosa di candidati da tantissimo tempo, penso che non avrò mai più intenzione di farlo nel futuro, e gradirei che questa non sia la modalità con cui un possibile supplier o fornitore ci supporti anche nel processo di recruiting, perché la serenità con la quale si gestisce un progetto di ricerca e selezione basandoci sui principi della filosofia Agile è tutta un’altra storia.  Lavorare e gestire i nostri processi, che sono comunque difficili (abbiamo delle tempistiche, abbiamo dei target), con la serenità di sentirsi in un luogo sicuro dove si può dire quello che si pensa, ricevere i feedback da parte degli altri e dare davvero valore a quella che è anche la sensazione delle altre persone, penso che sia veramente qualcosa di straordinario. È difficile ed è complesso, me ne rendo conto, ma una volta che si fa questo cambio di mindset si vede la realtà con un altro paio di lenti.

D: Questo ha influito anche sulla tua esperienza, sul modo di lavorare e di rapportarti al team?

Laura: Assolutamente. Noi parliamo di Agile Recruiting anche in collegamento con le funzioni degli altri team, quindi gli Hiring Manager insieme al loro team sono parte attivissima del percorso e chiaramente del progetto. Parliamo di Agile Recruiting, ma a me viene in mente che noi siamo solo una parte del processo, perché poi in realtà è il team HR – che da noi si chiama People&Culture – che deve mettere in funzione tutta una serie di meccanismi che permettono di porre una fine reale al processo. Parlo anche di tutte l’attività, ad esempio, di Onboarding. Prendendo un po’ spunto dal framework, abbiamo una pagina su Trello dove attraverso una Kanban Board gestiamo il processo di hiring nella battuta finale, e non solo, perché insieme agli Hiring Manager e a tutte le funzioni che ci supportano, continuamente adattiamo le priorità. In realtà non siamo un team di recruiting molto grande, ma gestiamo numeri incredibili, non perché siamo brave noi ma perché c’è un team molto forte che ci supporta.

D: Dal punto di vista delle competenze, abbiamo parlato anche prima di competenze soft, cosa è cambiato?

Laura: E’ vero che adesso si ricerca la competenza. Personalmente quello che io continuo a cercare, e che noi dobbiamo continuare a cercare, è una nuova competenza che è la capacità di saper evolvere continuamente a prescindere dal ruolo, dalle competenze tecniche. Sicuramente la competenza tecnica è necessaria per ricoprire bene o comunque con facilità un certo tipo di ruolo. Però penso che la competenza principale che dobbiamo ricercare adesso è quella di saper evolvere, di sapersi adattare perché sono convita che quello noi facciamo oggi probabilmente tra dieci anni non sarà più così. E se quando ci mettiamo a cercare nuove persone all’esterno, non ricerchiamo la capacità di sapersi mettere in gioco e di cambiare anche la rotta, completamente e in un periodo di tempo non troppo lungo, dubito che riusciremo ad avere dei team che funzionano e che lavorano bene e in modo sereno.

D: Quale potrebbe essere oggi un requisito fondamentale, quindi, per fare Agile Recruiting? Diresti adattabilità?

Laura: Direi adattabilità e la capacità di tenere gli occhi aperti. Cogliere le sfide, anticiparle e guardare con attenzione non solo al futuro ma molto probabilmente anche al passato. In conclusione far tesoro di quello che è stato fatto precedentemente e trovare la chiave per continuare a migliorarsi.